(foto LaPresse)

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I protagonisti della corsa al Quirinale sono già tutti sul palco

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore- “In Italia ogni atto della vita pubblica ha due lati, uno apparente e un altro nascosto: vi è la scena e la controscena, perché le tradizioni della tirannide secolare ci hanno abituati alla cospirazione. Onde non sappiamo pensare a qualche cosa che dovrebbe per se stessa prodursi alla luce del giorno senza apparecchiarla colla cospirazione” (Francesco De Sanctis, “Sopra Niccolò Machiavelli”, 1869). Il retroscenismo, o cospirazionismo, fa parte della cultura profonda e viscerale degli italiani. E questo è un bel problema, anche in vista dell’apertura delle danze quirinalizie.
Michele Magno 

C’è di buono che per la prima volta da molti anni a questa parte la competizione per il Quirinale, tra candidature esplicite e candidature implicite e autocandidature da ridere, è tutta lì: più scena che retroscena e più arrosto che fumo. I protagonisti sono tutti lì, sul palco, pronti ad andare in scena. Manca solo il copione, un pezzo del quale è stato scritto ieri da Renzi sul Corriere: Draghi al Quirinale ok, ma non prima di aver trovato il punto di riferimento fortissimo di quella che sarà la prossima maggioranza Ursula. Ready to go?


Al direttore - Una donna (stile Maraini-Murgia-Littizzetto), un Mattarella bis (malgré soi) e – perché no? – Rodotà e Imposimato (l’ombra di Banco). Che ne pensano di queste brillanti indicazioni quirinalizie i tanti che ritenevano l’M5s una forza seria e compatta a cui allearsi? 
Massimo Teodori 

Uno vale uno!


Al direttore - Chiunque abbia un minimo di consapevolezza dei problemi che affliggono il nostro mondo sa perfettamente che l’Italia (e non solo) deve e dovrà fare i conti con la “questione demografica”. Tutti gli indicatori statistici restituiscono l’immagine di un paese il cui futuro, per usare un eufemismo, è a dir poco plumbeo. Non solo: ad aggravare una situazione già di suo drammatica per il fatto che non si fanno più figli, ecco la notizia  – ne ha parlato Roberto Volpi sull’ultimo numero della Lettura – che anche la famiglia non se la passa poi tanto bene se è vero che secondo le previsioni dell’Istat sulla popolazione italiana al 2070, in Italia ci saranno, appunto, sempre meno famiglie. Con un crollo dal 32,1 al 23,9 per cento delle famiglie con figli da qui al 2040, a fronte del quale le coppie senza figli saliranno dal 19,8 al 21,6 per cento. Dinanzi a questo scenario non ci vuole un genio per capire che se ci saranno sempre meno famiglie ci saranno anche, e di conseguenza, ancor meno figli. Con tutto ciò che ne consegue. Sarà anche per questo che tutte le volte che si parla di denatalità arrivano puntuali da ogni dove commenti e appelli e richieste per invertire la rotta, per fare di più e meglio a sostegno della famiglia eccetera eccetera. Il che è senz’altro positivo, ci mancherebbe. C’è però un “però”. Anzi due. Il primo è che i succitati appelli sono spesso connotati da un pungente odore di tappo inasprito da  una massiccia dose di ipocrisia, se solo si pensa che arrivano (non tutti, sia chiaro, ma buona parte sì) da quegli stessi ambienti culturali che “l’utero è mio e me  lo gestisco io”, che “l’aborto è una conquista di civiltà”, che “il mondo rischia il collasso demografico se non si adotteranno serie politiche di controllo delle nascite”, e via dicendo; secondo, e cosa più importante: l’altro giorno Papa Francesco parlando dell’adozione nel contesto di una bellissima catechesi su s. Giuseppe, ha ricordato una verità di sesquipedale evidenza ossia il fatto che “tante coppie non hanno figli perché non vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti… Eh sì, cani e gatti occupano il posto dei figli. Sì, fa ridere capisco, ma è la realtà. E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci  toglie umanità”. Dal che l’invito ad aprirsi e a pensare all’adozione. Apriti cielo. Per aver osato mettere il dito nella piaga denunciando un fenomeno – si chiama non a caso “free child society” –  che è sotto gli occhi di tutti e che ha una radice innanzitutto culturale e solo dopo economica (comprare e mantenere cani e gatti costa, e parecchio anche),  dal mondo animalista ma anche da sedicenti esperti di s. Francesco di cui non eravamo a conoscenza, è partito l’immancabile rimbrotto all’indirizzo del Pontefice. Rimbrotto il cui refrain, con annessa richiesta di scuse a cani e gatti (sic!) era: ma come, proprio Bergoglio che ha preso il nome del santo di Assisi che era fratello di tutti, animali compresi, non sa che  – tenetevi forte – difficilmente chi non ama gli animali riesce ad amare un figlio? Ora anche a voler trascurare il fatto che chi si è prodigato in simili considerazioni ha preso fischi per fiaschi e amen, il punto che la dice lunga di come stiamo (mal)messi è un altro, ed è che c’è chi davvero crede che la vita di cani e gatti e degli animali in genere valga tanto quanto (se non di più) quella di un essere umano. E mi fermo qua. 
Luca Del Pozzo

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