Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Lettere

Domande, con risposte poco rassicuranti, sul futuro della destra italiana

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Sono trascorsi alcuni decenni da quando ero presidente del consiglio di istituto del liceo frequentato da mio figlio. La preside, una brava compagna del sindacato scuola della Cgil e ottima dirigente, in vista della ricorrenza del 25 aprile di quell’anno, propose di invitare un ex partigiano a parlare della sua esperienza agli studenti. Quella persona venne e raccontò di quella fase della sua vita in modo onesto e sincero, senza concedere nulla alla retorica. Quando venne chiesto agli studenti se avessero domande, si alzò uno di loro e rivolse a bruciapelo una domanda: se l’ex partigiano avesse ucciso qualcuno durante la guerra civile. Quel signore non rispose come avrebbero voluto i sodali di Tomaso Montanari: “Certo, ma erano fascisti” (sottintendendo che era giusto ammazzarli). Si limitò a riflettere qualche minuto poi disse: “E’  successo, in guerra succede purtroppo. Ma non ne vado fiero. Quando si uccide una persona, anche se è un tuo nemico, si rompe qualche cosa dentro, che non si aggiusta più”.
Giuliano Cazzola

E’ molto curioso poi che gli stessi soggetti che vogliono contestualizzare alcuni fatti gravi del passato, per esempio gli stermini dei non fascisti, tendano poi a riscrivere la storia leggendo fatti del passato con la comoda visuale del presente. In fondo, sempre di cancel culture si tratta, no?

 

Al direttore - Condivido la lettera (e la proposta) di Valter Vecellio, e anche la sua risposta. Per amore alla verità fattuale (che anche il Foglio ha coltivato in me) segnalo che un “memoriale” per i soldati italiani caduti in Afghanistan l’ha già fatto (anche se per ora solo cartaceo) Renato Farina su Libero del 17 agosto scorso, di cui allego immagine. Unicuique suum.
Ubaldo Casotto

 

Al direttore - Dopo quello che è accaduto mercoledì con il voto negativo della Lega in commissione Affari sociali sul green pass che essa aveva accettato in Consiglio dei ministri e che i suoi presidenti di regione stanno realizzando nei rispettivi territori abbiamo la percezione dell’aleatorietà della situazione in cui si trova il nostro paese nei tempi medi. Apparentemente tutto è finora transitorio: Mattarella è agli sgoccioli, Draghi deve decidere se si candida come presidente della Repubblica o se invece continua fino al 2023 come capo del governo. Nel frattempo da un lato il centrodestra (Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, forse Dc e Udc), dall’altro il centrosinistra (certamente Pd, M5s, forse Calenda, forse Renzi, forse Bonino) stanno preparando la contrapposizione frontale per l’elezione del 2023 che quindi sarà una specie di giudizio di Dio. Tutto vero, ma fino a un certo punto. In primo luogo i problemi sul tappeto oggi e ancor più domani sono semplicemente spaventosi: la pandemia non è ancora finita in Italia e ancor meno nel mondo; la situazione economica, a parte l’andamento positivo dell’industria manifatturiera, presenta aspetti assai difficili specie sul terreno del debito pubblico con una parte dell’Europa che visto l’aumento dell’inflazione afferma che bisogna ritornare all’austerity. Ma le cose non si fermano qui. Da un lato, quasi ogni giorno, specie la Lega, ma anche i grillini, prendono iniziative e assumono posizioni che in una situazione normale potrebbero far saltare tutto per aria. Non avviene perché la coalizione è così ampia che tutto viene riassorbito e perché al vertice ci sono Mattarella e Draghi. Ma che avverrebbe (anzi che avverrà) se i grillini e i leghisti fossero determinanti all’interno di due coalizioni contrapposte che per pochi voti parlamentari governano o fanno l’opposizione? E che avverrebbe se al vertice del governo non ci fosse Draghi e presidente della Repubblica non fosse Mattarella? Sotto molti punti di vista i due si completano e si fanno continuamente da sponda. Per altro verso Draghi ha una tale autorevolezza internazionale accentuata dalla perdita di autorità di altri e dall’andata in pensione della Merkel che placa, riassorbe o cancella molte cose che avvengono in Italia. Ma che sarebbe successo ieri se in un governo di centrodestra non presieduto da Draghi Salvini e Borghi avessero fatto un tale scarto per di più su una materia così delicata e vitale qual è la salute? Ci riferiamo non solo alle conseguenze politiche ma anche a quelle economiche. Con un governo di grande coalizione e quindi di grandi numeri in Parlamento per di più presieduto da Draghi le società di rating e gli spread stanno buoni perché sono tranquilli. Con un governo di piccola coalizione, essendo determinanti i grillini o i leghisti o i sovranisti può davvero accadere di tutto a ogni accenno di raffreddore. Per questo ci sembra che ci sia troppo ottimismo in giro e che si parli del futuro di Mattarella, di Draghi o di quant’altri con allegra spensieratezza. Invece, a nostro avviso, siamo seduti a nostra insaputa su una cassetta di dinamite sulla quale qualcuno ha scritto Coca-Cola.
Fabrizio Cicchitto

La domanda giusta è quella che ieri ha suggerito Dario Di Vico: può il nord produttivo e pienamente inserito nel triangolo con Francia e Germania sopportare una leadership minoritaria e discotecara della Lega? Detto in altri termini: può la Lega che punta a essere di governo continuare a inseguire la peggiore destra sfascista, che non si limita al solo onorevole Borghi, per sperare di governare anche nella prossima legislatura? E infine: può la Lega che punta a essere di governo continuare ad appoggiare istanze politiche irresponsabili indigeribili anche per il suo stesso elettorato? E può la destra non estremista non lottare per non farsi fagocitare dai vecchi campioni dell’estremismo leghista? Il futuro della destra italiana, se vogliamo, è tutto in queste domande. E al momento le risposte possibili, nonostante la contaminazione con il draghismo, offrono più elementi per essere spaventati che elementi per essere ottimisti.

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