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La Cina, il no alla prescrizione… quanti ricordi, vero Salvini?

Le lettere del 15 giugno al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ricordo male o la Lega che oggi esulta per la svolta del governo e dell’Europa sulla Cina è la stessa Lega ma proprio la stessa Lega che nel 2019, ai tempi del governo gialloverde, firmò il memorandum con la Cina? 
Luca Martoni
 

E’ così. E’ lo stesso partito. Lo stesso che in quei giorni aveva affidato a un leghista il dossier dell’accordo sulla Cina (Michele Geraci). Lo stesso partito che in quei giorni aveva salutato con soddisfazione l’accordo con la Cina arrivando a dire che “la Francia è irritata con l’Italia perché questa volta è stata bruciata sul tempo e le sconfitte bruciano” (Gian Marco Centinaio, il Messaggero, 26 marzo 2019). E a vedere oggi la Lega esultare per la possibile svolta del G7 (svolta che è possibile non perché gli Stati Uniti hanno svoltato sulla Cina ma perché hanno svoltato sul modo in cui contrastare la Cina passando dall’America First al multilateralismo) viene da pensare quanto sia romantica l’operazione portata avanti da Salvini: fare di tutto per ricordarci quanti danni possa fare la Lega quando si trova al governo senza essere commissariata. E a proposito, caro Salvini, ricorda  chi ha votato in Parlamento per eliminare la prescrizione? Noi sì.



Al direttore - Caro Cerasa, consenta a un vecchio lettore di solidarizzare col suo giornale per la denuncia dei responsabili del linciaggio dello Stabilimento ex Ilva di Taranto e di complimentarmi con Annarita Digiorgio per gli impeccabili e documentati servizi che dedica a quella sordida vicenda. Che la magistratura tarantina agisca, senza prove, in base a un teorema risulta evidente, proprio, dalle condanne inflitte all’ex governatore Nichi Vendola e all’ex direttore generale dell’Arpa, Giorgio Assennato: il primo per concussione implicita del secondo; quest’ultimo per favoreggiamento del primo. In sostanza, stando alla sentenza, Vendola avrebbe imposto ad Assennato di certificare che lo stabilimento era rispettoso delle regole allora vigenti; circostanza, peraltro, riconosciuta dal tribunale di Milano (e confermata in Appello) nel processo sulla bancarotta fraudolenta a carico dei fratelli Riva. L’ex direttore generale, invece, avrebbe insistito a negare di aver ricevuto delle minacce dall’ex presidente. Ma la più evidente dimostrazione del pregiudizio alla base della sentenza sta in una dichiarazione del pm che il suo giornale riporta tra virgolette: “Ma come facciamo a rispondere alla mamma che ha perso il bambino che i limiti erano in regola?”.
Giuliano Cazzola