Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse

Lettere

Far bene il proprio mestiere, dai magistrati al Campidoglio

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Vafa day.
Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - “I magistrati fanno bene quando da pubblici ministeri fanno i pubblici ministeri e non i poliziotti o i giudici; quando da giudici fanno i giudici e non i pubblici ministeri o i poliziotti; quando rimangono indipendenti ed evitano anche di non apparirlo; quando rispettano gli altri poteri dello stato e non cercano vie pseudogiudiziarie a discutibili riforme politiche; quando difendono la loro indipendenza, ma non camuffano da indipendenza i loro interessi corporativi; quando agiscono su fatti e non su teoremi” (Francesco Cossiga).
Michele Magno

 

I magistrati fanno bene il loro mestiere quando non confondono penale e morale, quando combattono i reati e non i fenomeni, quando cercano prove non teoremi e quando si ricordano che investire sulla cultura del sospetto, come diceva Giovanni Falcone, non è l’anticamera della verità ma è l’anticamera del khomeinismo.

 

Al direttore - Questa storia della “g” di Azeglio saltata sulla targa ha creato molto imbarazzo in Campidolio.
Gino Roca

 

Le famose targhe alterne, no?

 

Al direttore - Ti scrivo per comunicarti tutta la mia paura, il mio sgomento, in pratica ti devo dire che “avevo trentacinque anni e non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età per traslocare”. Apprendo che il governo semplificherà. Mi sta bene. A costo che si complichi tutto. Ho cercato di spostare la mia utenza telefonica da un domicilio a un altro e ho scoperto che la mia identità è incerta e che devo fare “impazzire il sistema per trovare la serenità da utente”. Pur pagando regolare bolletta, mi viene detto che il mio codice fiscale non esiste. Me lo ho rivelato un ragazzo simpatico. Si chiama Andrea. Ha capito quanto sia impreparato alla vita. Non mi ha giudicato. Solo per questo si merita la dote di Enrico Letta. Non si è perso d’animo. “Proviamo con il numero telefonico”. E’ realmente intestato. Ma perché non si collega con il mio codice fiscale? Per mezz’ora abbiamo ipotizzato spiegazioni. Andrea sembrava una specie di Carlo Rovelli con i tatuaggi. Ha pazientato. Poi si è arreso: “Non c’è soluzione se non chiamando il numero verde”. Sui colori ormai ho molte perplessità. Il numero verde, dal mio telefono (altro gestore), risulta inesistente. Mi sono spostato di quartiere per rivolgermi ad Anastasia (altro negozio) che mi ha liquidato senza guardarmi: “So già tutto”. In realtà non sapeva nulla ma aveva compreso che “noi non possiamo aiutarla. Chiami un altro numero: l’800…”. L’avvertenza la sapevo: una voce robotizzata farà domande a cui seguiranno risposte (le mie) secche. In tutti i modi ho ripetuto che la linea era “fissa” che non “volevo annullare contratto” ma “spostare”, che il comune era “lo stesso”. A ogni mia supplica, il robot rispondeva: “Non ho capito, vuoi ripetere?”. E ho ripetuto con decisione, poi con tenerezza e infine, sì, ho rinunciato a credere che potesse essermi utile. Ho allungato così il mio tragitto. Altro negozio. Ad accogliermi Alessandra. “Lei vuole ricevere assistenza. Giusto?”. Mi stavo innamorando. “Lei ha bisogno di parlare. Dico bene?”. Nessuno lo aveva detto meglio. Il freddo. “Quella donna non sono io”. Ma non può essere neppure la voce robotizzata replicavo. “Su questo sono d’accordo”. Rispondeva lei. Come fare. “Semplice. A ogni domanda del robot lei ripeta ‘operatore’. Continuamente. Serviranno dieci minuti ma una volta impazzito la chiamata verrà trasferita a un essere umano vero”. Ho pensato così che la parola semplificare rischia di essere il rovescio di “scoraggiare”. Ho fantasticato su cosa potrebbe accadere se, nella Pubblica amministrazione, anziché essere ricevuto da uno dei tanti travet si venisse rimandati a un robot (chiamatelo almeno “Cassese”). Anche in quel caso credo che, per arrivare al risultato, “bisognerà fare impazzire il sistema”. Ps: Mi ha risposto Alejandra da Tirana. Mi ha promesso che fra sette giorni sarò ricontatto. Al momento sto scrivendo dal mio telefono. La mia candela. Cordialmente.
Carmelo Caruso