Giorgia Meloni (Ansa)

Lettere

Meloni liberista? Magari. Partecipate: la scelta spetta a Draghi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Rula of law.
Giuseppe De Filippi


Al direttore - Avevo voglia di “depensiero” così nel giorno dell’uscita “Contro!” il nuovo libro di Alessandro Di Battista ho deciso di regalarmi la presentazione del libro a cura del duo Scanzi-Dibba. Ho soddisfatto subito la mia voglia non appena l’ex onorevole (dice che ci tiene a essere chiamato così) ha affermato: “Io credo che Giorgia Meloni sia liberista”. Magari.
Pasquale Annicchino

Ragioniere, mi si sono intrecciati i diti! Me li streccia?


Al direttore - “L’Italia ha troppe leggi, temperate dalla loro inosservanza” (Giuseppe Zanardelli).
Michele Magno

Al direttore - “Serve un altro profilo”, sarebbe, questa, la frase riportata dal Foglio, come probabile motivazione “soft” adottata da Mario Draghi per gli avvicendamenti negli incarichi pubblici. Indubbiamente, l’espressione non si abbatte pesantemente su chi viene sostituito – che magari si riterrà idoneo per altre cariche – e può ben rispondere alle nuove esigenze che si intenda soddisfare con l’avvicendamento. Tutto bene, tranne un aspetto. I profili, le qualità, l’idoneità dovrebbero far parte di criteri e requisiti oggettivi, trasparenti e predeterminati ai quali ci si riferisca nell’assumere i singoli provvedimenti. Non può essere la solitaria scelta di una pur autorevole personalità né, a maggior ragione, il risultato di mercanteggiamenti lottizzatori tra partiti. Non è un caso che una riforma che riguardi le nomine pubbliche, non limitata alle sole procedure, mai finora ha fatto parte del programma di un governo, ivi compreso l’attuale esecutivo. Si finisce con l’oscillare tra un inespresso “spoils system” e le scelte che i singoli riescono a far passare. Non sarebbe ora di definire, almeno, un minimo di criteri oggettivi e vincolanti, in chiave anche di autolimitazione, che valgano pure per il futuro e non riguardino soltanto gli aspetti prevalentemente procedurali come gli indirizzi impartiti dal ministro dell’Economia al suo dicastero, che pure segnano un piccolo passo avanti? Non sta nel deteriore rapporto tra politica ed economia, e nella lottizzazione che assume vesti diverse, uno dei mali principali del paese? 
Angelo De Mattia

Mi spiace deluderla, ma io mi auguro che vada proprio così. Mi auguro che su Rai, Cdp, Ferrovie e sulle altre nomine di primo piano che andranno a interessare nelle prossime settimane le società partecipate dallo stato, vi sia la solitaria scelta di un’autorevole personalità a cui la quasi totalità del Parlamento ha dato il mandato per governare e dunque per scegliere e che, come ha fatto quando è stato per le decisioni del governo, ha giustamente tenuto per sé, e per il Quirinale, le prime file, i ministri, lasciando agli altri, ovvero i partiti, il sottogoverno, che ieri era rappresentato dai sottosegretari e dai viceministri e che oggi potrebbe essere rappresentato dai cda. Dunque, sì: forza Draghi.



Al direttore - “La trasformazione cosmetica dei populisti: senza avere la genialità di trovare le parole per esprimerlo, è quello che pensai partecipando, in remoto, a un lunch talk con Luigi Di Maio. La sua lettura dell’introduzione conferma che lo staff della Farnesina non ha bisogno di cosmesi. Nessuno si aspettava le visioni di uno statista: alle risposte alle domande dei commensali, ospiti educati ma per nulla virtualmente inginocchiati hanno rivelato un perfetto giovane e volonteroso sottosegretario: che a studiare si impari stupisce solo se a dimostrarlo è proprio chi voleva convincerci che uno vale uno. E poi: chi c’è oltre a lui (Sileri non ha bisogno di metamorfosi)? I populisti “non fanno più paura”: ma danno speranza? Non basterebbe neanche che spegnessero tutte e cinque le loro stelle: bisognerebbe che splendessero di una luce diversa. E chi glielo dice a quelli che li hanno votati? Nelle mie campagne elettorali, andavo nelle sezioni che erano state comuniste a spiegare perché bisognava abolire l’art.18: uscivo e i segretari gli dicevano che servivano i voti di chi la pensava come me per battere Berlusconi. Ma la rivoluzione liberale a destra non c’è stata, e a sinistra non è bastata. E se non l’hanno imparato loro, chi gli farà dire che la scuola è per gli allievi e non per i sindacati, che salvare le aziende zombie è sprecare soldi e non risolve i problemi, che nella Pa si entra per meriti e non per anzianità da precario, che solo la concorrenza produce efficienza e la proprietà pubblica la riduce, che il golden power esteso a tutti i casi ci porta all'autarchia e all’isolamento? Certo che è meglio se, come Marine Le Pen, si schierano con Israele (costa anche poco, non ci sono israeliani sui barconi). Ma a salvare questo paese, la trasformazione non basta che sia cosmetica: e neppure che riguardi solo loro.

Franco Debenedetti

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