La svolta possibile dell'Italia per chi ha a cuore lo stato di diritto

Le lettere del 13 maggio al direttore Claudio Cerasa 

Al direttore - “La giustizia deve avere il suo corso, come Garibaldi”. (Marcello Marchesi)
Michele Magno

 

“La tortura che i nazisti infliggevano era più rozza, ma migliore. Un colpo alla nuca, e via. Ma questi ti rosolano a poco a poco, fra i tormenti. Solo tre categorie di persone (ho scoperto) non rispondono dei loro crimini: i bambini, i pazzi e i magistrati. La cosa più atroce è non poter fare nulla, se non aspettare”. (Enzo Tortora, lettere dal carcere, 2 ottobre 1983)


 

Al direttore - Nel Pnrr, nel paragrafo intitolato “Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione’’ si legge: “La corruzione può trovare alimento nell’eccesso e nella complicazione delle leggi. La semplificazione normativa, dunque, è in via generale un rimedio efficace per evitare la moltiplicazione di fenomeni corruttivi”. “Vi sono, in particolare, alcune norme di legge che possono favorire più di altre la corruzione. Si rende, dunque, necessario individuare prioritariamente alcune di queste norme e procedere alla loro abrogazione o revisione. Ad esempio – continua il documento – vanno riviste e razionalizzate le norme sui controlli pubblici di attività private, come le ispezioni, che da antidoti alla corruzione sono divenute spesso occasione di corruzione. E’ necessario eliminare le duplicazioni e le interferenze tra le diverse tipologie di ispezioni’’. Seguono poi alcune indicazioni specifiche di revisione della legge Severino del 2012  che, a mio parere, fu un grave e inutile cedimento del governo Monti al populismo e all’antipolitica. Non le pare, caro Claudio, che in questo brano tiri uno spiffero di aria nuova?
Giuliano Cazzola

 

Lo spiffero d’aria nuova c’è, eccome, ma lo spiffero più forte lo si sente in una delle proposte che sono presenti all’interno della bozza sulla riforma della giustizia, firmata da Marta Cartabia. E la proposta è questa: la semplice esposizione a un’indagine non potrà, in nessun caso, avere alcuna conseguenza pregiudizievole nei confronti dell’indagato, e nessuna norma, neppure le interdittive antimafia, potrà più essere costruita per fare del sospettato un colpevole fino a prova contraria. Impedire che un sospettato venga considerato colpevole fino a prova contraria dai professionisti del populismo penale può sembrare un atto dovuto, ma per un paese come l’Italia potrebbe essere una svolta mica male per chi ha a cuore lo stato di diritto e non soltanto la cultura della forca.


 

Al direttore - La nostra Carta costituzionale è ormai considerata come le tavole dei dieci comandamenti e le sue norme sono ritenute verità assolute scritte non da politici ma da santi aventi solo il fine della giustizia e della libertà. Può forse aiutarci a una visione più laica la storia della formazione della norma costituzionale relativa al Consiglio superiore della magistratura. Una norma molto importante per chi vede la nostra Costituzione come i dieci comandamenti: essa infatti garantisce il “dogma” dell’assoluta autonomia della magistratura dagli altri poteri. Ebbene, la norma costituzionale non nacque come è ora. La commissione, infatti, aveva proposto che il Csm fosse composto in misura paritaria dai membri eletti dal Parlamento e dai membri eletti dai magistrati. L’attuale norma, che attribuisce ai magistrati il potere di nominare i due terzi del Csm, è conseguenza dell’emendamento che l’on. Oscar Luigi Scalfaro, magistrato di destra eletto alla Costituente, presentò per evitare che la sinistra, in caso di vittoria alle successive elezioni politiche, potesse assumere il controllo della magistratura. Oscar Luigi Scalfaro con il suo emendamento voleva quindi garantire alla magistratura, a quell’epoca massicciamente di destra, la possibilità di auto-organizzarsi senza alcuna influenza del potere politico e di essere un forte presidio anti comunista. L’emendamento fu approvato con il voto favorevole dei conservatori e così il Csm divenne l’unico organo costituzionale in cui i membri espressi dalla volontà popolare erano in netta minoranza rispetto a quelli espressi da un corpo separato dello stato, i magistrati. Ma la conseguenza più drammatica fu la rottura dell’equilibrio fra i poteri dello stato in quanto solo il legislativo e l’esecutivo erano sotto il controllo democratico, mentre il potere giudiziario era “interamente” affidato a un corpo separato costituito dai vincitori di un concorso pubblico: per questo potere, quindi, la meritocrazia prevaleva sulla democrazia, con sommo gaudio per Platone. In Iran il corpo separato costituito dal clero sciita amministra la giustizia senza il consenso del popolo ma in nome di Dio. Anche in Italia è così, con una sola differenza: i nostri giudici pronunciano le loro sentenze non in nome di Dio ma in nome del popolo italiano. Ma è solo una diversità retorica.
Edmondo Maria Capecelatro