Foto Claudio Furlan - LaPresse 

Le scuole, un rischio necessario. Notizia sullo scontro Gualtieri-Renzi

Le lettere al direttore del 2 gennaio 2020

Al direttore - Costruttori ok, si attende via libera Ema.
Giuseppe De Filippi


 
Al direttore - Io non troverei accettabile vedere qualche scuola non aperta il 7 gennaio. Il governo, per quel che vale, lo giudicherò su questo.
Andrea De Cesaris

 

Lei ha ragione, ha ragione da vendere, ma arrivati a questo punto della pandemia non ci sono più scuse: i test si possono organizzare, i trasporti si sono possono efficientare, le distanze si possono mantenere, gli istituti scolastici si possono proteggere e ogni giorno di scuole chiuse che avrà l’Italia, a partire dal 7 gennaio, sarà un giorno in più in cui verrà dimostrata l’inadeguatezza della nostra classe dirigente. Le scuole non sono un luogo più rischioso di altri, ma quando si parla di scuole bisogna ragionare puntando meno sull’epidemiologia e puntando più sul futuro. E la domanda, in questo senso, è semplice: aprirle, dopo averle tenute chiuse tutte durante la prima ondata, è o no un rischio che vogliamo correre? Tutti i paesi d’Europa, finora, a questa domanda hanno risposto di sì. Sarebbe un mistero il motivo per cui l’Italia dovrebbe rispondere di no.



Al direttore - Leggo la piccata risposta del procuratore di Perugia Raffaele Cantone a un editoriale dell’ottimo Ermes Antonucci che con tutta evidenza l’illustre magistrato, proiettato direttamente dall’Autorità anticorruzione a capo di una delle più delicate procure italiane, ha dimostrato di non aver gradito. Da modesto avvocato con qualche minima esperienza e senza pretesa di spacciare verità e rivelazioni debbo rilevare che le puntualizzazioni del dott. Cantone lasciano più dubbi e interrogativi di quelli già nutriti all’avvio delle indagini. Sia consentito innanzitutto rilevare, in tutta umiltà, con riferimento alla fuga di notizie che lo stesso nega, che non è esatto sostenere che gli atti comunicati agli indagati e ai loro difensori siano automaticamente pubblicabili. Non è così, l’art. 114 del codice di procedura penale statuisce che “è vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, fatta eccezione per l’ordinanza indicata dall’articolo 292 (ordinanza di custodia cautelare). E’ una discutibile abitudine quella di alcune procure, unitamente ai settori della stampa che più beneficiano di tali prassi, quella di mescolare la cessazione del segreto istruttorio con la fine dell’obbligo di riservatezza. Non è così e gli atti di indagine come le perquisizioni e le intercettazioni non sono conoscibili se non quando riportati nei provvedimenti restrittivi. Ancora e sempre spinto dal medesimo deferente sentimento di apprendere e capire mi compiaccio del puntuale rispetto che il procuratore ha avuto delle Sezioni unite della Cassazione che, con una nota sentenza di inizio anno, hanno posto fine alla deprecabile abitudine delle intercettazioni a strascico per cui, indagando su una certa vicenda, si raccolgono notizie di reato “a risucchio” anche per fatti diversi. Egli conferma che fu così all’inizio: la procura indagava sull’Università degli Stranieri e captò una serie di conversazioni sull’esame di Suárez da cui capì che si stava organizzando un finto esame. Il procuratore ci tranquillizza che egli subito richiese al gip di Perugia le necessarie autorizzazioni per poter effettuare le intercettazioni anche su questa storia.
Pur tuttavia il procuratore sa che le intercettazioni casualmente captate in origine non sono più in alcun modo utilizzabili e tantomeno pubblicabili. Esse non possono costituire prova né dunque essere citate in atti di indagine come le perquisizioni. Magari mi sbaglio ma a me sembra proprio che le conversazioni pubblicate a fine settembre su tutti i giornali italiani fossero proprio quelle iniziali, quelle captate per caso e da cui tutto è iniziato. Egli ci rassicura che il gip nulla ha eccepito sul punto e la cosa tranquillizza ma magari permetterà che sul punto se ne possa parlare quando inizierà il processo perché solo in quel momento la difesa potrà intervenire ed eccepire l’inutilizzabilità delle intercettazioni che sarebbe stato magari bene preservare dal pubblico interesse. Infine, caro direttore, il dott. Cantone ci dà una primizia che a dire il vero era intuibile: egli ci dice che Luis Suárez è indagato come gli altri protagonisti della vicenda e che è stato sentito in videoconferenza “in un’aula di udienza alla presenza del suo difensore”. Ricorrendo alle poche confuse nozioni di procedura in mio possesso e in mancanza di ulteriori chiarimenti dell’illustre giurista, debbo arguire che vi sia stato un incidente probatorio, cioè un’anticipazione di un interrogatorio dibattimentale alla presenza, oltre che del dichiarante, dei difensori degli altri indagati. Il punto, caro direttore, è che tale procedura può essere assunta solo in casi specifici previsti dall’art. 392 del codice di procedura penale. Tra questi, “l’esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri”. Qui debbo umilmente procedere per ipotesi, cosa non agevole quando vi è un rigoroso rispetto del segreto d’indagine come quello praticato dalla procura perugina, e dunque deduco che il Suárez indagato abbia risposto sulle responsabilità dei suoi complici. Egli non può essere teste perché indagato, presumo per la presunta corruzione, falso e truffa orchestrata dai docenti perugini di cui egli è stato il beneficiario principe. Se è così però sarei curioso di sapere come egli abbia potuto rispondere sulle colpe dei correi senza ammettere le sue. Qui la cosa si complicherebbe alquanto, direttore, perché nessuno può deporre contro se stesso nel nostro paese almeno dai tempi dell’inquisizione e poi di Beccaria. Sono proprio curioso di leggere in tutta umiltà come si sia risolta la questione. Peraltro egli, ci conferma il dott. Cantone, era assistito da un legale che certamente non poteva essere il suo manager come fantasiosamente la solita stampa ha scritto. Certo può darsi, caro direttore, che alla fine ciò che conta è che un’indagine su quest’imbroglio si dovesse fare anche se in Italia gli esami e i concorsi “addobbati” non sono poi una rarità, e diciamo che tutte le categorie sono toccate. Il punto è, lo sa bene il procuratore, che in uno stato di diritto il risultato finale vale se la partita è stata giocata secondo le regole, senza che nessuno si sua portato il pallone da casa. Anche a questo servono i bravi giornalisti che si pongono domande e fanno la cronaca di ciò che vedono e non i portavoce di ciò che sentono.

Cataldo Intrieri


  
Al direttore - Caro Cerasa, ma lei ha capito come si risolverà, se si risolverà, lo scontro tra il governo e Renzi? Qual è il punto che non torna sull’economia? Fatico a capirci qualcosa.
Luca Maroni

 
C’è un punto interessante che riguarda la polemica fra Gualtieri e Renzi che merita di essere approfondito anche alla luce di una notizia raccolta dal Foglio (è un tema che affronta anche Mario Monti nell’intervista che trovate oggi sul nostro giornale). Durante l’incontro con Gualtieri, Italia viva ha chiesto al ministro dell’Economia di utilizzare tutti i 127,6 miliardi di prestiti come “additivi”, cioè in deficit, per potere disporre di 193 miliardi di risorse aggiuntive e fare posto a un numero maggiore di progetti (e aumentare le risorse per quelli presenti nella bozza di Recovery plan). Su questo punto vi è stato uno scontro vero con il ministro dell’Economia il quale, secondo quanto risulta al Foglio, ha rilevato che ciò sarebbe insostenibile per la finanza pubblica, e che già mantenere la quota di prestiti additivi intorno ai 52 miliardi rappresenterebbe uno sforzo impegnativo per i conti dell’Italia. Il dato interessante è che la posizione del Mef, su questo tema, non è una posizione solo soggettiva ma deriva anche dallo studio di una nota della Commissione europea ricevuta proprio dal Mef. Le indicazioni della Commissione rilevano alcuni punti. Primo: dal punto di vista macroeconomico, gli interventi finanziati dai prestiti del Recovery non presentano differenze rispetto a quelli finanziati in deficit dal governo, quindi discutere di quanto grande deve essere la quota di prestiti “additivi” rispetto all’ammontare totale e alla quota di prestiti “sostitutivi” equivale a discutere di quanto deficit deve fare l’Italia nei prossimi anni. Secondo: l’uso dei prestiti del Recovery in modo sostitutivo è positivo e utile perché riduce il costo del debito e l’esigenza di emettere titoli sui mercati. Considerazione che si trova dunque al centro dello scontro politico tra Italia viva e il governo. Renzi propone di usare tutta la parte dei loan in modo aggiuntivo. Il Mef dice che non è il caso di farlo perché l’uso di una maggiore quota di prestiti in deficit sarebbe problematico, non solo dal punto di vista delle regole europee, e non potrebbe essere realizzato senza equivalenti misure di riduzione dell’indebitamento. Il tema effettivamente è centrale: usare i prestiti come debito aggiuntivo, per un paese che si appresta a superare il 155 per cento nel rapporto deficit-pil, indebolisce o rafforza l’Italia? Tema su cui ritornare.