Sul Recovery più che un Ciao serve un Daje. E buon anno a tutti

Le lettere al direttore del 31 dicembre 2020

    Al direttore - Ema vale Ema. 
    Giuseppe De Filippi


     

    Al direttore - E’ icastico il quadro degli insegnamenti, una sorta di eterogenesi dei fini, impartiti inconsapevolmente dai “populisti” a livello internazionale, che Ella ha fatto, ringraziandoli, con un editoriale del 30 dicembre. Ma, su di un livello che almeno per ora non sembra impartire involontari insegnamenti, vi è pure il fenomeno di un degenerato, smodato potere di coalizione, attualmente esercitato da Italia viva, in questa fase in Italia, ma suscettibile di contagiare. Siamo lontanissimi dal potere esercitato da un personaggio come Ugo La Malfa nei governi degli anni Settanta del secolo scorso, e comunque anche dopo dal suo partito: il solo evocare quella figura e quei tempi, rispetto all’oggi, è una bestemmia. Eppure ora si blocca quasi la vita politica con questa non “utilità marginale”; bensì, per come ci si comporta, si rischia una “disutilità marginale”. Sia chiaro: sono fenomeni diametralmente diversi quelli citati (populismo e sfruttamento del 2-3 per cento di rappresentanza). Ma gli effetti di entrambi sono del pari perniciosi, anche se in gradi naturalmente diversi. Con i più cordiali saluti e fervidi auguri di buon anno, 
    Angelo De Mattia

     

    Più che perniciosi, caro De Mattia, direi doverosi. Chiedere al governo di fare di più, di essere più ambiziosi sul Recovery, di liberarsi degli ultimi retaggi anti europeisti, di essere efficienti nella gestione dei soldi europei, di non trasformare la distribuzione dei vaccini in una seconda puntata dei banchi a rotelle è il minimo che si possa chiedere a un governo desideroso di avere un senso che vada al di là dell’essere contro Salvini. Più che Ciao, servirebbe un Daje. E buon anno a tutti.


     

    Al direttore - Spaventando e turbando la convalescenza del presidente Macron, l’attento on. Fraiotanni ha chiesto la chiusura delle centrali nucleari francesi e di tutte quelle ai nostri confini. Il diktat del compagno Fratoianni fa seguito al “terrore” in lui suscitato dalla “fermata” della centrale di Krsko in Croazia, a seguito del terremoto. Credendo di dire una cosa di “sinistra”, Fratoianni ha finito per dire una cosa sciocca. La “fermata” non è frutto di paure o preoccupazioni delle autorità croate, ma è una conseguenza della perfetta resilienza di un impianto nucleare al terremoto. A differenza di ogni altra cosa al loro intorno (case, impianti e infrastrutture) le centrali nucleari (tutte) ai nostri confini non crollano, ma semplicemente si fermano senza danni a persone o cose. Per essere riavviate quando la vita, nel territorio colpito, può riprendere. Fratoianni ha perso l’occasione di apprendere un paio di cose utili per il mestiere che fa: che  le centrali nucleari ai nostri confini differiscono da quella di Chernobyl o di Fukushima come una tv al plasma da una a raggi catodici; che la sicurezza è la ragione del costo delle centrali; che queste, che lui vorrebbe chiudere, ci riforniscono dell’energia che scalda e alimenta anche la casa di Fratoianni. Ed è grazie a esse che Fratoianni può fare l’ecologista, ma con la luce accesa, lo smartphone in carica e il frigo in funzione. Una supplica, onorevole: prima di staccarci la corrente, si informi meglio. 
    Umberto Minopoli