(foto Ansa)

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Caro Cav., la seggiola da spazzare oggi è quella di Salvini

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ho letto e apprezzato l’intervista di Renato Brunetta al Foglio. Conosco Renato da una vita, abbiamo lavorato insieme in tante iniziative nate dal suo fervido impegno culturale e politico. Anche per lui è venuto il momento di dire il Grande No ai ricorrenti voltafaccia nei confronti di valori irrinunciabili. Si parva licet, io mi trovai nella sua stessa condizione odierna nel dicembre del 2012 quando, in occasione di una votazione importante alla Camera, arrivò l’ordine del presidente Berlusconi (anche allora attraverso una telefonata di una sua collaboratrice ora uscita di scena) di “sfilarsi” dalla maggioranza che appoggiava il governo Monti e di limitarsi a garantire, sul piano tecnico, soltanto il varo dei provvedimenti essenziali in quella sessione per andare così successivamente alle urne. Il sottoscritto decise in pochi minuti – dopo le dichiarazioni del capogruppo Fabrizio Cicchitto (altro amico da decenni) in linea con le indicazioni di Berlusconi – di continuare a votare a favore del governo Monti in dissenso dal gruppo del Pdl, fino alla decisione di passare a quello Misto. Come ha ricordato Renato: “Amicus Plato, magis amica veritas”.
Giuliano Cazzola 

 

Il centrodestra è una creatura strana e non si capisce davvero come possano coesistere sotto un’unica bandiera un partito che ha come responsabile economico un No euro come Alberto Bagnai e un partito che ha come responsabile economico un Sì Mes come Renato Brunetta. La vera scelta che prima o poi dovrà fare Berlusconi, e che probabilmente non farà mai, non è se dire sì o no al Mes – vedrete che si troverà un modo per dire nì – ma è se dire sì o no a un centrodestra europeista costretto a scodinzolare più o meno ogni giorno di fronte ai capricci dei capetti nazionalisti. La seggiola che oggi andrebbe spazzolata in diretta tv, caro Cav., non è più quella di Travaglio ma è quella di Salvini. 


 

Al direttore - Si avvicina un Natale difficile, di rinunce e denti stretti. Ma oltre alla drammatica pandemia sanitaria, proseguono quelle sociali ed economiche su cui abbiamo il dovere di promuovere delle iniziative. Si parla sempre più spesso e con “consapevolezza aumentata” di Social e Green new deal. Dopo il Covid, più che mai. Ma senza un’alleanza strategica tra pubblico e privato le sfide del contrasto alle disuguaglianze e della riconversione ecologica rischiano di andare perdute. Non basterà la pioggia di fondi europei in arrivo con il Recovery fund, se non impiegheremo quelle risorse in modo efficiente e incisivo, usando lo schema Pbr, pay by result, e cioè connettendo investitori e imprenditori sociali e sottoponendo i progetti a valutazione dell’impatto sociale e ambientale. Ecco perché, nelle scorse ore, abbiamo inviato una lettera al premier Conte, alle soglie del dibattito infuocato che lo attende la prossima settimana sui fondi europei. Con me si sta mobilitando tutta la rete italiana dell’impact investing, che fa capo a Social Impact Agenda per l’Italia (Sia): i due vicepresidenti, Stefano Granata e Massimo Lapucci, e l’intero comitato scientifico di Sia, che raccoglie intellettuali come Stefano Zamagni, Enrico Giovannini, Leonardo Becchetti, Mario Calderini e tanti altri. A Conte, nelle ore che precedono il complicato passaggio parlamentare sul Mes, abbiamo posto il tema del come più che del quanto. Come investire quei fondi in arrivo perché servano davvero ad aprire un paracadute su questa crisi feroce? La nostra risposta è chiara: serve usare gli strumenti dell’impact investing. Con cinque proposte concrete. Integrare strutturalmente lo schema pay by result nell’uso dei fondi europei, intanto. E ancora: promuovere incentivi per la finanza a impatto e per le imprese sociali. E lavorare sulla “impact trasparency”, ovvero la promozione di strumenti di contabilità finanziaria integrata nei bilanci dei privati, così da rendere misurabile l’impatto sociale e ambientale generato dal business di tutte le attività produttive e finanziarie. Introdurre, poi, una legislazione “impact friendly” e anche una fiscalità di vantaggio per i prodotti finanziari intenzionalmente a impatto (incoraggiando investitori istituzionali e fondi pensione a diversificare così i loro investimenti). Sostenere, infine, lo sviluppo delle partnership pubblico-privato e promuovere outcome fund e social impact bond. Solo così potremo trasformare il “debito Covid” in arrivo dall’Europa in una reale promessa di cambiamento e risposta alle ferite sociali e ambientali per le quali non si vede all’orizzonte nessun vaccino. 
Giovanna Melandri


 

Al direttore - Non si può non essere d’accordo sui danni che l’indebita ingerenza politica, ma anche quella sociale e finanche di istituzioni religiose, ha provocato nella gestione del Montepaschi. Più volte l’argomento è stato affrontato dal Foglio, da ultimo il 4 dicembre. Tuttavia, la presunta prevaricazione politica che sarebbe alla base della scelta di Mustier di dimettersi da amministratore delegato di Unicredit non ha trovato alcuna conferma nelle dichiarazioni dello stesso ceo ed è stata nettamente smentita dal presidente in pectore Pier Carlo Padoan. D’altro canto, il Tesoro, che ha una partecipazione nel Monte del 68,2 per cento e che è chiamato a sostenere misure come la trasformazione di attività fiscali differite in crediti di imposta, cioè ad agire su risorse dei contribuenti, dovrebbe trattare il futuro della banca senese come res inter alios, alla quale sia estraneo? Naturalmente, vi sono criteri e limiti da osservare, nonché la necessità di evitare un conflitto di interessi tra il ruolo proprietario e la funzione di supervisore per la parte che gli compete. Deve, soprattutto, essere chiaro il disegno perseguito e pronta la disponibilità a renderne conto. Ma non credo che il Tesoro possa essere terzo rispetto alla sorte del denaro pubblico. Vi sono diversi aspetti nei quali si dovrebbe essere critici in questo campo. Ma non vi è anche quello, ovviamente, di rispondere correttamente ed efficacemente all’obbligo di amministrare il denaro pubblico impiegato in una storica e importante banca. 
Angelo De Mattia

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