Non si può chiamare “contraccezione” la pillola dei cinque giorni dopo

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 13 ottobre 2020

    Al direttore - Quarantena accorciata, Calenda può rientrare prima.
    Giuseppe De Filippi

     


     

    Al direttore - No Tav, No Tap, No Vax, No Mes, No Mask. Sti cazz!
    Giuliano Cazzola

     


     

    Al direttore - L’articolo “Il virus e i finti difensori della libertà: la gran lezione di Mattarella” (il Foglio, sabato 10 ottobre), sostiene che coloro i quali pensano che, a causa del virus, la democrazia sia stata sospesa incarnano “una forma di estremismo ideologico che tende a demonizzare un nemico che in natura non esiste”. Il punto che mi preme sottolineare riguarda la facilità e la rapidità con le quali, a fronte della pandemia, con lo strumento dei decreti della presidenza del Consiglio, abbiamo smesso di essere una Repubblica parlamentare. Di fatto, di fronte a quello che è stato percepito come un grave pericolo abbiamo riconosciuto (mondo politico e cittadini) che il sistema parlamentare è un lusso che ci possiamo permettere quando le cose vanno bene, o non troppo male, ma non è uno strumento adeguato quando si tratta di affrontare crisi pesanti e inaspettate. Che il parlamentarismo, specie in Italia, sia in difficoltà da lungo tempo è sotto gli occhi di tutti e le ragioni sono molte: non ultimo, il disfacimento del tradizionale sistema partitico in seguito a Mani pulite e a tutto ciò che quello tsunami politico-istituzionale portò con sé. Il recente risultato referendario gli ha poi inferto un altro colpo. Resta comunque degno di nota come, quasi senza obiezioni, di fronte alla necessità di affrontare una crisi inaspettata, il Parlamento sia stato percepito come un ingombro non necessario. Allo stesso tempo le garanzie costituzionali sono saltate e con grande disinvoltura il governo, dominus assoluto, ha sospeso fondamentali libertà costituzionalmente garantite. Ma degna di nota è stata anche la disponibilità con cui i cittadini hanno accettato il tutto. Si tratta di precedenti di una certa importanza, sui quali sarebbe il caso di interrogarsi. Se una svolta del genere è avvenuta in così breve tempo e senza opposizioni, che cosa impedisce che possa avvenire di nuovo, magari riutilizzando un allarme riguardante la salute pubblica? Se con tanta facilità è stato possibile rendere politicamente accettabile ciò che in una democrazia liberale di norma non lo è, chi ci garantisce che l’esperimento non possa essere ripetuto, magari su scala più ampia e duratura? E come mai la svolta è stata possibile? Se qualcuno riuscisse a trasformare la situazione d’emergenza nella normalità, che cosa avverrebbe? Visto che, in presenza di un pericolo, il passaggio si è rivelato tanto agevole, chi può assicurarci che il pericolo non possa essere creato di proposito? Esiste il rischio che lo stato di emergenza possa essere in qualche maniera istituzionalizzato? Il sistema democratico liberale ha in sé le risorse per rispondere o è fatale che, in caso di choc, debba snaturarsi cedendo il passo a forme di autoritarismo più o meno esplicito? Queste non mi sembrano domande da “cialtro-libertari”. Sono domande che nascono quando si ha a cuore la libertà e si considera quanto è facile perderla.
    Aldo Maria Valli

     

    Mi sembra un ragionamento che ha una sua linearità ma che prescinde purtroppo da un fatto elementare: stiamo vivendo una fase straordinaria di fronte alla quale reagire in modo non ordinario mi sembra che sia un dovere più che un diritto e onestamente in una fase come questa la libertà più importante da tutelare è la nostra vita. Il giorno in cui questi strumenti non ordinari dovessero essere utilizzati per situazioni non straordinarie ce ne occuperemmo e ci indigneremmo senz’altro. Al momento il virus più grave da combattere mi sembra un altro: non quello che mette a rischio le nostre libertà ma quello che mette a rischio la nostra salute.

     


     
    Al direttore - Rispetto all’autorizzazione recente dell’Aifa sulla pillola dei cinque giorni dopo, non so se sia più paradossale chiamare “contraccezione” ciò che in realtà è aborto, oppure che il ministro della Salute che ha autorizzato tutto questo si chiami “speranza”.
    Gianni Brasani