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Panico no, ma avere ancora paura è un vaccino utile contro le vaccate

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 30 aprile 2020

Al direttore - Eravamo 4 amici dei bar...

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - A sostegno delle ultime scelte governative milita un articolato studio del comitato tecnico-scientifico, secondo il quale una riapertura indeterminata delle attività produttive potrebbe portare ad avere, alla data dell’8 giugno prossimo, ben 151.231 italiani in terapia intensiva. Non avendo le stesse approfondite conoscenze tecniche dei membri del comitato, mi sono limitato a “fare un po’ di conti” utilizzando gli ultimi dati forniti dalla Protezione civile. In effetti, affinché si realizzi lo scenario così autorevolmente tratteggiato da chi ci guida in questa fase così delicata dovremmo avere contestualmente anche un milione e mezzo di ricoverati e almeno altri sei milioni di positivi in isolamento domiciliare. In altre parole, non ci si potrebbe riuscire in così breve tempo nemmeno con un Dpcm che obbligasse tutti i produttori a iniettare il virus nel latte, e finanche nelle acque minerali. Mi chiedo allora se a nuocere a un serio dibattito scientifico siano davvero gli apprendisti stregoni che espongono sui social le loro azzardate ipotesi negazioniste o se non siano piuttosto degli scienziati-burocrati che ritengono di diffondere dei dati falsi per sostenere delle tesi certamente esatte.

Francesco Compagna

Creare il panico non serve. Terrorizzare non aiuta. I numeri forse non tornano ma continuare ad avere paura, senza volerla esorcizzare, non è un sentimento di debolezza: è l’unico modo, forse, per non essere irresponsabili con noi stessi e anche con chi ci sta vicino. Riaprire tutto, a poco a poco, ma senza fretta, senza minchiate, e soprattutto facendo piano.

 


 

Al direttore - Il giudice di Reggio Emilia costretto da un clima infame creato dai partiti e da quasi tutti i giornali a rigettare la richiesta di Cutolo in carcere da 40 anni molto malato di andare ai domiciliari… in questo caso nessuno parla di attacco all’autonomia e all’indipendenza della magistratura perché l’attacco lo hanno portato coloro che solitamente con quei princìpi si sciacquano la bocca… in Italia c’è la pena di morte e tutto va bene madama la marchesa.

Frank Cimini

 


 

Al direttore - Ho letto con estremo interesse l’articolo di Antonio Pascale “Lasciamo ai giornaletti le immagini dei contadini sorridenti sotto le querce”, nel quale si parla in modo finalmente anticonvenzionale delle reali esigenze del settore primario, tratteggiato in queste settimane solo come luogo di bassa, quasi infima, manovalanza. Sono poche, pochissime (e tra queste quella di Pascale), le voci di coloro che vanno spiegando da tempo che le nuove agricolture – volutamente plurale – hanno necessità di personale qualificato, preparato, specializzato. Che, anche nei campi, c’è un grande bisogno di competenze tecniche, agronomiche, manageriali, di comunicazione. E proprio l’emergenza coronavirus, che ha elevato l’agroalimentare a comparto strategico nazionale, dovrebbe costituire, al netto delle difficoltà e delle criticità irrisolte che ha evidenziato, uno stimolo per accelerare l’ammodernamento dell’agrifood italiano e per ridisegnare i modelli e i processi di produzione, trasformazione e commercializzazione. La narrazione romantico-bucolica dell’agricoltura va archiviata. Come? Negli ultimi anni c’è stata una riscoperta degli indirizzi agrari, sia nell’istruzione superiore che nelle università. Ci sono e ci saranno centinaia di periti agrari, agrotecnici e agronomi che potrebbero mettere a disposizione delle imprese le loro competenze. Competenze fondamentali per ridisegnare il settore in funzione di una nuova, vera, sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Cambiare paradigma, come oggi va tanto di moda dire, permetterebbe di dare dignità alla quota crescente di giovani che hanno scelto questo percorso di crescita professionale e sostenere, nel concreto, l’innovazione e la specializzazione richieste dall’agricoltura 4.0, o precision farming o digital agricolture, delle quali tanto si parla da anni nei convegni. In sintesi: all’agricoltura serve formazione e competenza, programmazione e organizzazione, capacità autoimprenditoriali spiccate. Non solo “braccia rubate”. “Studia, sennò dovrai lavorare la terra”, quante volte lo abbiamo ascoltato? Quand’è che arriverà il giorno nel quale potremo ascoltare un genitore, un insegnante, un adulto dire a un ragazzo: “Studia, sennò non potrai mai fare l’agricoltore?”.

Gilberto Santucci

 


 

Al direttore - Tiene tutti con il fiato sospeso la decisione che prenderà Carmine America, meglio noto alle cronache come il compagno di banco del ministro Di Maio e suo stretto collaboratore, nonché consigliere speciale per la sicurezza internazionale e la politica di difesa presso il ministero degli Esteri. America, capitato accidentalmente nel cda di Leonardo, secondo alcune indiscrezioni stampa, sembra avere alcuni conflitti di interesse che riguardano i suoi legami famigliari. Lo stesso codice etico di Leonardo, peraltro, definisce chiaramente il perimetro all’interno del quale tali conflitti dovrebbero essere evitati. Ora si è giunti alla resa dei conti. Cosa succederà? Si dimette il genero o rinuncia alle forniture il suocero? L’eventuale scelta di uno dei due sarebbe comunque un’ammissione che nel peggiore dei casi potrebbe configurarsi come una “svista” a dir poco imbarazzante. Ma allora Quis custodiet custodes? Non ne faccio però una colpa al ministro Di Maio: è chiaro che la sintassi dei lacciuoli della burocrazia italiana non è sempre chiara, come il problema che ci affligge in questi giorni e scomoda fior di accademici e riguarda l’interpretazione del termine “congiunti”. E’ chiaro che vi sia un problema lessicale e che a volte i legami professionali e affettivi non possano essere subalterni alla semantica.

Giulio Centemero, deputato della Lega

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