Le sberle dell'Istat a quelli che il coronavirus è solo un'influenza

Al direttore - Cucù, c’è l’asse franco-italiano.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Confido in una consuetudine antica, in una stima, spero, reciproca e nella serietà del quotidiano che dirige con grande autorevolezza per avere la possibilità di rendere noti all’opinione pubblica i dati Istat che vengono “censurati” in tempi di coronavirus. Decessi in Italia nel 2019: 641.768, di cui decessi per malattie del sistema respiratorio 53.372. Per la medesima patologia i decessi a marzo 2020 (attribuiti al Covid-19) sono stati 12.352; nel 2019, 15.189, nel 2018, 16.220.

Giuliano Cazzola

 

Caro Cazzola, con stima e consuetudine antica, ma davvero dobbiamo ancora discutere se si muoia con o per coronavirus e se questa malattia sia pericolosa o no? Per stima e consuetudine antica, mi affido alla sua intelligenza e soprattutto a un passaggio dell’ultimo rapporto Istat, pubblicato il 31 marzo, che immagino avrà visto anche lei. “Bergamo vede quasi quadruplicare i decessi per il complesso delle cause delle prime tre settimane di marzo, passando da una media di 91 casi nel 2015-2019 a 398 nel 2020. Incrementi della stessa intensità, quando non superiori, interessano la maggior parte dei comuni della provincia bergamasca. Situazioni particolarmente allarmanti si riscontrano anche nella provincia di Brescia, nel cui capoluogo i decessi nelle prime tre settimane di marzo sono più che raddoppiati: da 134 nel 2015-2019 a 381 nel 2020. Va ancora rilevato come incrementi superiori al 200 per cento siano presenti anche in capoluoghi come Piacenza o Pesaro”. L’Istat ha preso in considerazione, nel suo studio sui decessi, 1.084 comuni, e in oltre la metà dei comuni del nord i decessi per il complesso delle cause sono più che raddoppiati nel mese di marzo in soli 21 giorni. Direi che, con stima, possiamo finirla qui.

 


 

Al direttore - A quando la fase due? Ce lo chiediamo compulsando ansiosamente ogni sera numeri e curve. Ma rischiamo di andare incontro a una tremenda delusione: perché il buon andamento dei numeri è solo condizione necessaria per poter parlare di fase due, che però non potrà e non dovrà arrivare se non abbiamo approvati, provati, funzionanti e pronti gli strumenti sufficienti per poterla iniziare. Secondo il Nobel Paul Romer (in un webinar consultabile su bcf.princeton.edu) gli strumenti sono due. Non sono cose nuove, nuova è la (facile) formuletta per indicare la quantità di esami necessaria per ottenere che R diventi minore di uno, e così bloccare la diffusione. Ne risulta un multiplo enorme di ciò che abbiamo fatto con i tamponi (anche dove sono stati fatti) ma indica anche il modo per ridurlo a dimensioni, sempre del tutto incomparabili col passato, ma praticabili in un futuro prossimo. Il costo è rilevante in sé, ma sempre minore di quello che si risparmia. E che si risparmierà se ci dovessero essere recrudescenze. Gli strumenti sono: primo, la tamponatura, per sapere a campione quanti e dove sono i sani e i malati, e per circoscrivere le eventuali nuove insorgenze. Secondo: gli esami sierologici, per dare il “patentino” a quelli che dovrebbero essere diventati immuni. Non sono cose nuove, ma per dispiegarle entrambe nella dimensione necessaria a entrare nella fase due, richiedono interventi organizzativi e logistici ingenti. E abbiamo al massimo due settimane di tempo per farlo. Quanto alla mappatura digitale invece, Romer ritiene sia meglio lasciar perdere: troppe varianti sul sistema da scegliere, troppe incertezze sulla sicurezza dei dati, troppa diffidenza, troppe chiacchiere. E quanto al vaccino, raccomanda di non fare pressione per accelerarne l’approvazione: basterebbe un errore e, oltre a fare un’ecatombe, vanificherebbe la fiducia nella vaccinazione. Quella sì potrebbe essere la fine dell’umanità.

Franco Debenedetti

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