Oliviero Toscani (foto LaPresse)

Cosa direbbe il vecchio Oliviero Toscani al nuovo Oliviero Toscani

Giuseppe De Filippi

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Mille proroghe e una manifestazione.

Giuseppe De Filippi

  

Al direttore- Chi può credere che Oliviero Toscani avesse voluto dire proprio quello? “A chi interessa se un ponte crolla?”. Ancora una volta Toscani ci mette di fronte alla verità e alla falsità dell’informazione, quel sistema di comunicazione che lui tante volte ha fatto implodere. 1992: la foto di un malato di Aids in agonia portava il marchio United Colors of Benetton, veniva usata come un normale annuncio pubblicitario e costringeva il mondo intero a interrogarsi sulla potenza della pubblicità che diventava informazione. Il mensile inglese Elle uscì con due pagine bianche, censurando quell’immagine che si poteva guardare sulla copertina di Time dove era stata pubblicata, ma che diventava inguardabile con quel marchio verde che ne denunciava l’intento commerciale. Più tardi, sulla copertina della rivista Colors sarebbe apparsa la foto sconvolgente del primo sbarco da una nave degli albanesi in Italia, la prima foto di Agenzia assurta a immagine promozionale per un’azienda che vende maglioni. Noi che lavoravamo con lui eravamo spiazzati. La pubblicità e l’informazione erano sempre state agli occhi di noi giovani, usciti da rigorose università, “separate”. Ora, la foto del malato di Aids e quella dello sbarco degli albanesi ci mettevano in crisi: quella dello sbarco degli albanesi ancora di più perché, mentre campeggiava nelle strade italiane affissa ai muri in manifesti di tre metri per cinque come pubblicità della Benetton, Toscani ce l’aveva fatta mettere anche sulla copertina di una rivista, in una sorta di doppio specchio rifrangente che trasformava un “consiglio per gli acquisti” nella foto-notizia da schiaffare in prima pagina. E già allora chi accusava la Benetton di “usare il dolore” per vendere maglioni, restava ammutolito se si fermava a riflettere sul fatto che un malato di Aids sul suo letto di morte non è propriamente il “modello” più efficace per convincere qualcuno ad acquistare un maglione. Cosa stava succedendo? Toscani e la Benetton ci dicevano, a me sicuramente per la prima volta, che la pubblicità poteva anche essere informazione e che l’informazione poteva servire per dare un’immagine a un’azienda commerciale. Ma quale immagine? In quegli anni gli scontri quotidiani con i colleghi più tradizionalmente impostati rendevano più chiaro che un’azienda può essere come una persona, interessata a quello che accade nel mondo. I francesi, sempre avanti, avevano trovato un nome: “industrie citoyenne”, l’impresa come un cittadino che partecipa al vivere civile e dà il suo contributo al progresso, rendendo sempre più umano il lavoro e sempre più radicata nella società l’attività industriale. Ci era ben chiaro che l’impresa doveva obbligatoriamente fare profitti e si restava increduli quando, a forza di pubblicità con malati di Aids, migranti in cerca di un futuro migliore, morti di mafia, soldati uccisi in guerra, i profitti della Benetton non diminuivano, anzi, crescevano. Contemporaneamente cresceva un sistema di informazione evoluto: quelle pubblicità mettevano noi manager della comunicazione in contatto con associazioni di volontariato, gruppi radicali di lotta contro i pregiudizi sull’Aids, istituzioni antirazziste. La foto del malato di Aids ci fece conoscere le persone di Act Up e fu con loro che, per attirare l’attenzione mondiale su una malattia che fomentava il razzismo e l’esclusione, ancora misteriosa come era l’Aids agli inizi degli anni 90, srotolammo sull’obelisco di Place de la Concorde a Parigi un enorme preservativo rosa shocking, la mattina alle 6.30 del 1° dicembre 1993, con i militanti di Act Up che uscirono dalle quattro bocche del metro e, tenendosi per mano in circolo attorno all’obelisco, impedirono alla polizia di interrompere il lavoro dell’agenzia di traslochi che stava installando l’enorme condom con una lunga scala. Nel 2000 Toscani avrebbe scattato l’ultima campagna di un ventennio rivoluzionario che costrinse la Nike a uscire con uno slogan “Nemmeno Benetton riesce a correre così veloce”, che la diceva lunga sull’innovazione che Luciano Benetton e Oliviero Toscani avevano portato negli stereotipati linguaggi della pubblicità. Quell’ultima campagna prima di un sofferto addio Toscani la scattò in un carcere di massima sicurezza americano e resta l’unica campagna mai fatta da un’industria privata sulla pena di morte: anche lì la Benetton faceva emergere le contraddizioni di un grande paese come l’America che esalta la libertà dell’individuo mentre non esita a togliergli la vita se sbaglia, non propriamente il massimo del rispetto umano sbandierato dalla costituzione. Questa forse lunga premessa serve a tornare alla domanda con cui ho iniziato questo pezzo: “Chi può credere davvero che Oliviero Toscani avesse voluto dire proprio quello che ha detto ‘A chi interessa se un ponte crolla?’ ”. Nessuno può crederci. Ma Toscani quella frase l’ha detta, alla radio e tutti l’hanno potuta sentire. Qui non interessa approfondire se è stata estrapolata da un contesto, se è stata in un certo senso “estorta” da un conduttore abile a tirar fuori il peggio dai suoi interlocutori, o se gli sia sfuggita. Quello che ai miei occhi di comunicatore è sorprendente è il “primo livello” a cui questa frase è stata immediatamente inchiodata. Ci sono vari livelli di comprensione di una frase: dal primo livello, quello più semplice, per chi, non possedendo strumenti di conoscenza o culturali o di informazione, è costretto a fermarsi a quello che la frase esprime nella sua articolazione sintattica, al secondo livello, che accresce la comprensione di quanto è stato detto con elementi che contribuiscono a contestualizzarla e quindi a restituirla in una “verità” più prossima a quanto si voleva esprimere. Inchiodarla al primo livello è tipico della società dell’informazione che stiamo vivendo, quella fasulla di Instagram, quella sarcastica di twitter, quella inutilmente verbosa di Facebook. Toscani è stato inchiodato a quei pochi secondi di parlato radiofonico che hanno azzerato mezzo secolo di suo impegno civile, di rispetto e di amore per l’umanità, di generosità. Ancora una volta, come con la foto del malato di Aids, Toscani fa implodere il sistema dell’informazione svelandone l’ipocrisia profonda. Toscani, insieme ad altri che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita, mi ha insegnato che sempre dobbiamo prendere consapevolezza di ciò che ci circonda, che sia un fatto accaduto, una frase, un’immagine, un’idea. Perché una consapevolezza acquisita provoca in noi squarci di luce e contribuisce al nostro cambiamento, alla nostra evoluzione. E quando noi cambiamo individualmente anche il mondo cambia. Anche una frase sbagliata può servire.

Paolo Landi

Ragionamento molto interessante, con tratti di verità, ma è anche vero che in questa occasione neppure Toscani è stato in grado di difendere Toscani e provare a difenderlo è una missione complicata per quanto eroica. Ieri i Benetton, quando si dice gli amici, hanno stracciato il contratto con Toscani, prendendo atto “dell’impossibilità di continuare il rapporto di collaborazione con il direttore creativo”. Secondo lei ci sono o no aziende pronte a prenderlo subito? Un caro saluto.

Di più su questi argomenti: