(Foto LaPresse)

Gli anti Cav. (e gli anti Renzi) è ora che dicano la verità sui nazi-pop

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - E’ meglio essere guidati in un governo debole o guidare un’opposizione forte? La domanda, vista l’aria che tira, non mi pare peregrina. Le confesso che, più passano i giorni, più aumenta il mio sconforto per la conclamata subalternità del Pd al suo alleato di governo. In tempi normali, la disastrosa gestione del caso Ilva sarebbe stata sufficiente a decretare la fine di un esecutivo sgangherato e inetto. Ma deve andare avanti a tutti i costi, si dice, non foss’altro perché non si può consegnare l’elezione del successore di Mattarella nelle mani di Salvini. Chi lo dice, però, può seriamente credere che, considerata la volubilità (per usare un eufemismo) dei gruppi parlamentari pentastellati, il prossimo inquilino del Colle sarà una personalità di specchiata fede democratica ed europeista? Io non ci scommetterei un centesimo. Caro Cerasa, condivido senza riserve il suo editoriale di ieri sul vuoto di leadership che caratterizza la maggioranza rossogialla. Per esperienza personale e da qualche lettura ho imparato che un partito degno di questo nome è fatto di organizzazione e di passione ideale, così come deve avere una cultura politica condivisa e, appunto, un leader riconosciuto e accettato dal gruppo dirigente e dagli iscritti. Quando queste risorse latitano troppo a lungo, molti di coloro che, magari animati ingenuamente da spinte anzitutto morali, sarebbero disponibili a dare una mano per costruire un’alternativa al nazionalpopulismo della destra, si tengono ben lontani dalle logomachie e dai giochetti di potere di capicorrente litigiosi e narcisi. Mi rendo perfettamente conto che rigore e chiarezza d’idee sono virtù rare. Ma ho ragione di credere che, se il Pd non supera con uno scatto di orgoglio collettivo personalismi e risse intestine, è destinato a un declino che potrebbe perfino essere inarrestabile, a uscire di scena come quei personaggi secondari che scompaiono al primo atto, quando il dramma è appena cominciato.

Michele Magno

Mi permetto di cogliere l’occasione del suo ragionamento prezioso per suggerire un altro tema, che ci aiuta a capire in che modo siamo arrivati al punto dove ci troviamo oggi, a proposito di nazi-pop. Ezio Mauro, ieri su Repubblica, in un interessante articolo dedicato a Matteo Salvini, ha detto il cesarismo di Berlusconi ha generato il sovranismo di Salvini. Quella di Mauro è però una verità a metà che se non comprende anche l’altra metà diventa una non-verità, quasi una bugia. Repubblica non potrà mai ammetterlo ma prima o poi qualcuno dovrà rendersi conto che ad aver contribuito a creare la Repubblica dei nazi-pop non è stato l’attivismo del così detto cesarismo ma è stato prima di tutto l’attivismo di tutti coloro che per anni hanno foraggiato prima l’antiberlusconismo e poi l’antirenzismo. Se combatti le alternative vere alla cultura nazi-pop non puoi lamentarti se poi ti ritrovi Di Maio e Salvini. O no? 

 


Al direttore - E’ vero, la condanna dei due carabinieri per la morte del povero Stefano Cucchi rappresenta una “sentenza di dignità”. Ci sono, però, almeno un paio di cose che non andrebbero dimenticate. La prima è che si tratta pur sempre di una condanna di primo grado (in pochi dubitano che Stefano sia stato picchiato, il punto è stabilire con assoluta certezza se il pestaggio abbia causato la morte). A parte ciò, sarebbe un imperdonabile sbaglio dimenticare i clamorosi errori commessi nel primo processo, quando sul banco degli imputati sono finiti tre agenti della polizia penitenziaria, per anni indicati da chiunque come gli autori del pestaggio. Erano innocenti. Ed è giusto, ritengo, ricordare i loro nomi: Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici, persone perbene che a Cucchi non hanno mai torto un capello, e che pure hanno dovuto subire per anni un ingiusto massacro mediatico da parte di chi cercava non “il” colpevole ma un colpevole qualunque.

Luca Rocca

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