Pierre Moscovici (foto LaPresse)

L'infrazione? Hanno vinto l'Italia e l'Europa, hanno perso i sovranisti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ma alla fine anche Maduro ha fatto la manovrina?

Giuseppe De Filippi

  

Al direttore - La resa del governo italiano alle condizioni poste dalla Commissione e le nomine annunciate per i nuovi vertici dell’Unione sono la prova che nessun pirata dell’aria è riuscito a disinnestare il “pilota automatico”. Il volo dell’Europa procede, in sicurezza, nella medesima direzione e lungo le rotte consuete.

Giuliano Cazzola

L’Europa non ha, come si dice, graziato l’Italia. L’Europa ha chiesto delle garanzie, ha chiesto una manovra correttiva, ha chiesto di correggere il percorso, ha chiesto di fare quello che Salvini e Di Maio non volevano fare: ovvero, ascoltare l’Europa. Aver evitato la procedura di infrazione è una vittoria dell’Italia, ma non è una vittoria dei sovranisti. Più l’Italia riuscirà a mettere da parte il folle contratto di governo populista, più l’Italia avrà la possibilità di non farsi del male da sola.

 

Al direttore - Otto Georg Schily, paladino dello stato di diritto, cofondatore del partito dei Verdi in Germania e poi dal 1989 membro della Spd e ministro federale dell’Interno dal 1998 al 2005, riconoscendo la bontà dei princìpi che muovono le ong si chiede tuttavia se “una organizzazione privata possa prendere a bordo delle persone in mare… per poi costringere un paese ad accoglierle”. E’ indubbio che questo sia stato il comportamento di Carola Rackete di cui nessuno, per l’amor di Dio, osa mettere in forse la dedizione alla causa dei migranti e alla loro salvezza. La vicenda Sea Watch tuttavia non rientra nella casistica delle convenzioni diligentemente da te citate. La nave non ha salvato naufraghi in pericolo di vita. Ha prelevato migranti non esposti a rischi immediati trasbordandoli sulla Sea Watch dalle barche di scafisti che hanno poi preso il largo, dileguandosi. Che non ci fosse un rischio imminente, del resto, lo ha affermato la Corte di Strasburgo, una Corte mai tenera con l’Italia. E andiamo al sodo. Nel Mediterraneo centrale accade che la rotta delle navi ong, in assenza di intese sulla ricollocazione dei migranti tra i vari stati e nella sostanziale indifferenza dell’Unione europea, sia solo e sempre la rotta verso l’Italia e Lampedusa. Si può continuare così? Che il linguaggio e la condotta di Salvini (a cominciare dalle assenze alle riunioni dei ministri dell’Interno a Bruxelles) siano causa di un ulteriore indebolimento della capacità negoziale dell’Italia in Europa è una delle tante responsabilità del governo gialloverde. La nuova Commissione europea dovrebbe essere chiamata dal governo italiano a promuovere (evitando aspetti negativi di esperienze già fatte) l’avvio di una efficace operazione europea con mezzi navali e forze forniti dagli stati membri per contrastare i trafficanti e salvare i profughi. Nel quadro di una politica di ricollocazione dei migranti nei vari paesi dell’Unione e di un serio negoziato per la revisione della Convenzione di Dublino. Un governo italiano degno di questo nome dovrebbe lavorare a costruire alleanze con altri paesi membri per fare avanzare una tale prospettiva. Il Consiglio europeo a maggioranza può compiere alcune di queste scelte. So bene che tutto ciò può risolversi in una petizione di principio considerata la labilità e l’inconsistenza del premier e la sciocca arroganza del ministro del’Interno. Dovrebbe allora l’opposizione fare la propria parte. Ho timore tuttavia che stenti il Pd ad assolvere a questo compito non tanto per i viaggi a Lampedusa e le notti sulla Sea Watch di parlamentari di quel partito. Una vicenda che è meglio dimenticare. Non convince la linea del rifiuto delle intese raggiunte dal governo Gentiloni/Minniti in Libia. Si dice, la situazione in quel paese martoriato si è venuta aggravando. Ma qualcuno pensava nel 2017 che fosse imminente la stabilizzazione? Gli accordi furono stipulati consapevoli della fragilità degli equilibri e del possibile insorgere di conflitti. Qualcuno si illudeva che la Guardia costiera libica nel 2017 fosse composta tutta da stinchi di santo? No. Si sapeva bene al momento della stipula di quelle intese che i rischi erano alti. Ma si compiva un passo avanti per influenzare gli sviluppi della situazione. Oggi, mentre il governo Serraj, insediato anche grazie all’Italia, riconosciuto dalle Nazioni Unite, cerca di resistere all’offensiva del generale Haftar armato e sostenuto da Arabia Saudita ed Emirati, il Pd in Parlamento chiede che il governo italiano metta in discussione accordi sottoscritti dall’Italia con lo stesso Fayez al Serraj! Lo fa quando le forze di Haftar che non ha alcun interesse al processo di pace, si apprestano a condurre, dopo essere state sconfitte e respinte a terra, una campagna aerea su Tripoli. Il problema non è denunciare gli accordi del 2017 ma rilanciare la presenza e l’iniziativa della comunità internazionale a sostegno di Serraj, battersi contro una campagna di bombardamenti che avrebbe conseguenze orrende sulla popolazione, ottenere la presenza in forze delle Nazioni Unite per controllare i campi in cui vengono raccolti i profughi, per vigilare sulle condizioni di vita in quei campi. Di un indebolimento della iniziativa italiana in Libia approfitterebbero i gruppi dediti al traffico di vite umane e alle violenze. Non ci vuole molto a capirlo. La decisione del Pd in Parlamento sulla Libia costituisce un errore. Gli errori in politica estera si pagano. Sempre. E si pagano con gli interessi.

Umberto Ranieri

Grazie per la lettera. Il punto chiave, nella storia della Sea Watch, a me sembra questo ed è il punto messo in rilievo dalla procura di Agrigento: “In virtù degli articoli 10 e 117 della Costituzione, una norma di rango primario non può essere in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia”. La giurisprudenza internazionale e anche quella italiana considerano da tempo un barcone o un gommone che trasporta in mare un numero esorbitante di passeggeri senza avere le dotazioni minime di sicurezza e le necessarie riserve di acqua e carburante come un evento Sar, ovvero come un fatto che rientra nella categoria delle operazioni “search and rescue” ovvero “ricerca e soccorso” necessarie per salvare persone in difficoltà in mare. Una volta che viene riconosciuto un salvataggio in mare come “evento Sar” quell’operazione non è conclusa se i migranti salvati non vengono condotti in un “luogo sicuro”. Per luogo sicuro, come ha ricordato il pm di Agrigento nell’audizione alle commissioni Affari costituzionali e Giustizia di tre giorni fa, “si intende, per costante e prolungata giurisprudenza internazionale, un posto dove i migranti possano avere garantiti tutti i diritti fondamentali della persona”. Nel caso della Sea Watch il luogo sicuro più vicino era l’Italia. Ranieri ha ragione quando dice che non si può continuare così. Ma il problema non sono le ong che si muovono come taxi del mare. Il problema è che se non si presidia più il Mediterraneo e se si sceglie di criminalizzare e non di regolamentare le ong, gli sbarchi non smetteranno, i morti in mare aumenteranno e gli arrivi di fronte ai quali si ritroverà il nostro paese saranno più pericolosi di quelli della Sea Watch: saranno gli sbarchi fantasma e chi arriva con i barchini fantasma di solito ha il profilo di un soggetto che ha tutto l’interesse a non farsi verificare e che ha buone probabilità di essere un soggetto che, lo ricordava sempre Patronaggio, “ha avuto o ha problemi giudiziari nel proprio paese” e che potrebbe avere avuto “anche problemi in relazione ad attività di terrorismo svolte a favore dell’Isis”. Più chiaro di così non si può.

 

Al direttore - Riguardo all’articolo di Luca Diotallevi del 2 luglio su liberalismo e cristianesimo, vorrei rispolverare un noto passo dell’“Idiota” di Fëdor Dostoevskij: “Prima di tutto, che cos’è il liberalismo, in termini generali, se non un attacco (se giusto o sbagliato è un’altra questione) sul presente ordine delle cose? Non è così? Dunque, la mia posizione è che il liberalismo russo non solo è un attacco all’ordine presente delle cose, ma è un attacco all’essenza stessa delle nostre cose – alle cose stesse e non soltanto al loro ordine”. Il professor Diotallevi farebbe bene, se non a documentarsi un poco sulla differenza non proprio marginale tra il concetto liberale di libertà e quello proprio alla tradizione cattolico-ortodossa, almeno a verificare il pensiero degli autori che presenta come alfieri della sua posizione – prima appunto di presentarli come tali. Sul fatto che il grande russo sia stato tra i sommi campioni del mistero della libertà umana, non ci piove. Ma non credo avrebbe sottoscritto nemmeno uno iota di quanto esposto dal professor Diotallevi. Per non parlare di san Pietro (1 Pt 2:13-17), san Paolo (Rm 13:1-7) e direi persino lo stesso Gesù, il quale sentendo scomodare il suo proprio corpo (eucaristico) eretto a simbolo della grande alleanza tra liberalismo e fede cattolica, nonché della strenua opposizione all’autorità (politica) costituita, credo abbia storto il naso (quello del Suo corpo glorioso, intendo). Non mi risulta che le potestà e i principati di questo mondo di cui parlano Paolo e Giovanni – cioè le forze del male – si identifichino con “ogni sovranità” terrena (eccetto ovviamente che la sovranità dello stato liberale, ovviamente) come invece Diotallevi ci insegna. A me pare che san Pietro chiedesse di pregare per l’imperatore. Che pur non doveva essere un facitore del ritorno alla repubblica pre-augustea, anche se certamente è difficile se non impossibile datare con sicurezza la prima lettera di Pietro. E qui, a differenza del professor Diotallevi, mi ritiro umilmente per mancanza di sufficiente conoscenza delle fonti che cito.

Paolo Fiorenti

Di più su questi argomenti: