Piercamillo Davigo (foto LaPresse)

Spunti per il Grossolano Davigo sull'abuso della custodia cautelare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ma Tridico è nei 250 km o deve accettare?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Caro Cerasa, i Nas hanno sequestrato una miscela psicoattiva altamente tossica simile all’eroina sintetica, ma molto più economica e letale: un oppiaceo che, con soli 20 grammi, permetterebbe di fare 20.000 dosi. E’ solo un caso sporadico o è l’arrivo di una tempesta perfetta che renderà schiavi i nostri giovani? Di fronte a questo tipo di “offerta” è necessario capire che la prevenzione è la “via maestra” da seguire: un’azione preventiva di riduzione della domanda, che si traduca in un intervento sulla comunità nel suo insieme, affinché l’azione educativa coinvolga il più ampio numero di persone, partendo dai giovani, dagli adulti significativi e non soltanto dai gruppi a rischio. Quando ormai i ragazzi sono entrati nel baratro della dipendenza, siamo infatti di fronte a un fallimento: hanno fallito tutte le “agenzie educative” con cui il ragazzo è venuto a contatto. Oggi di droga si parla troppo poco, assente da ogni quotidiano e da ogni programma di qualsiasi partito politico, viene spesso circondata da un’alea di normalità e innocuità e se ne parla solo in seguito a episodi di cronaca inquietanti: dobbiamo avere tutti coraggio e fare in modo che lo stato lanci una nuova sfida educativa recuperando la centralità della relazione. Se non lo fa lo stato, lo deve continuare a fare la società civile. Per lottare contro le dipendenze serve accoglienza e una società che abbia il “coraggio di contagiarsi”. Serve ricostruire rapporti autentici e non mediati. Nella crisi delle relazioni interpersonali c’è il motivo della fuga nei narcotici e il compito della società sta nell’aiutare a ricostruire la fiducia verso queste relazioni, orientando l’uomo su ciò per cui la vita va vissuta. Ora serve che lo stato faccia la sua mossa, magari creando un tavolo permanente di studio e confronto.

Andrea Zirilli

 

Al direttore - Alle ultime elezioni regionali i due partiti di governo hanno realizzato l’11,6 per cento per la Lega e il 9,5 per cento per il M5s per un totale quindi di circa il 20 per cento di voti conteggiati. E allora dov’è quel benedetto 60 per cento di voti cosiddetti virtuali attribuiti agli stessi partiti da autorevoli e costosissimi istituti di sondaggi? Si potrebbe sommessamente suggerire a costoro di usare una maggiore prudenza nel presentare questi sondaggi inevitabilmente associati a calcoli che prevedono la presenza di diversi gradi di errore standard? Anche perché l’elettore italiano, ancorché caratterialmente volubile, non è un ingenuo ma senza dubbio più bravo a far di conto.Con molti saluti.

Vincenzo Covelli

 

In Italia, e non solo in Italia, esiste una maggioranza silenziosa europeista e anti populista (“Il 75 per cento dei cittadini dell’area dell’euro – ha ricordato venerdì scorso Mario Draghi – si dice a favore dell’euro e dell’Unione monetaria e il 71 per cento degli europei che si dice a favore della politica commerciale comune”) che i sondaggi spesso non vedono semplicemente perché non c’è nessuno oggi che abbia la forza di farla sentire a casa. Ma prima o poi, vedrà, quella casa ci sarà.

 

Al direttore - Al dottor Davigo che, nella sua intervista alla Stampa, alla domanda “Non si arresta troppo?” ha risposto con un piccatissimo “Tutt’altro: in Italia in galera ci vanno in pochi e ci stanno poco”, rispondiamo, dati alla mano, che i suoi colleghi arrestano male e oltre la misura consentita e segnaliamo alcuni dati oggettivi che non provengono certo da quella che lui ritiene la parte “cattiva” del processo ovvero la difesa, ma dal ministero della Giustizia. Se avesse partecipato all’Inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti tenutasi a Padova lo scorso 15 e 16 febbraio avrebbe avuto la possibilità di leggere un sintetico, ma illuminante, report redatto proprio dall’Osservatorio carcere dell’Unione delle camere penali sullo stato delle nostre prigioni. Ed eccoli quei numeri che il dottor Davigo dovrebbe tenere bene a mente prima di rispondere alle domande sul carcere e sull’(ab)uso della custodia cautelare rimasta, nei fatti, la carcerazione preventiva del passato. Secondo le ultime statistiche ministeriali, il numero dei detenuti presenti nelle carceri italiane, al 31 gennaio 2019, ha toccato la cifra di 60.125 con una capienza regolamentare pari a 50.550 (a questi, secondo quanto dichiarato dal capo del Dap, bisogna togliere almeno altri 4.600 non utilizzabili!). Il tasso di sovraffollamento, quindi, è arrivato a toccare 118,94 per cento (in realtà al 130 per cento ove si considerino i 4.600 posti da detrarre perché non utilizzabili). Quanto, invece, ai detenuti presenti in custodia cautelare, analizzando i dati ministeriali, abbiamo calcolato che nell’arco degli ultimi 11 anni (2008-2018) il dato medio dei detenuti non definitivi è pari al 40,77 per cento. In sintesi, negli ultimi undici anni, su cinque persone “custodite” dallo stato nelle nostre prigioni, almeno due si trovano ristretti senza che la loro responsabilità penale sia stata accertata in via definitiva, e una delle quali è in attesa del giudizio di primo grado. Altro che presunzione di non colpevolezza fissata dall’art. 27 della Costituzione, troppo sventolata e troppo poco applicata! Dovrebbe riflettere sull’enorme numero di casi d’ingiusta detenzione, dichiarati dai suoi colleghi e come il numero di vittime continua ad aumentare senza sosta, così come il denaro che viene versato nei loro confronti a titolo di risarcimento o indennizzo da parte dello stato. Sono più di 1.000 le persone che finiscono in carcere ingiustamente ogni anno e ricevono – dopo una lunghissima e spesso mortificante procedura –  denaro quale retribuzione per la sottratta libertà. L’Italia ha speso, nel 2017, circa 35 milioni di euro per indagini sbagliate che hanno costretto persone a privarsi del diritto fondamentale in uno stato civile. Non osiamo immaginare quale possa essere il “sistema” a cui aspira il dott. Davigo, che ritiene da un lato che non vi siano cittadini onesti, ma solo persone non ancora inquisite e dall’altro che coloro che vengono assolti sono stati giudicati male. Si potrebbe certo nascere in carcere per poi, dopo un’attenta valutazione, essere liberati, magari con un microchip che possa controllare la condotta successiva. Gli suggeriamo comunque di visitare le carceri italiane – insieme al ministro dell’Interno, di recente a colloquio con uno specifico detenuto condannato, in via definitiva, per tentato omicidio, al fine di sostenere il disegno di legge sulla legittima difesa – e verificare, da magistrato e “uomo di diritto”, le condizioni disumane e degradanti in cui vivono i ristretti. Sarebbe una buona opportunità, per comprendere da dove iniziare per parlare di detenzione in Italia. Potrebbe cominciare dalle top ten del sovraffollamento: Taranto (198,37 per cento), Como (197,40 per cento), Lodi (193,33 per cento), Latina (190,91 per cento), Brescia “Nero Fischione” (187,93 per cento), Busto Arsizio (187,50 per cento), Chieti (184,81 per cento), Udine (180,65 per cento), Lecce “NC” (173,61 per cento), Lucca (172,58 per cento).

Avvocato Gianpaolo Catanzaritie avvocato Riccardo Polidoro, responsabile Osservatorio Carcere Ucpi

 

Al direttore - “I giovani corrono avanti. Gli adulti, tuttavia, devono cercare di tenere il loro passo e di accompagnarli. Il web è spazio di libertà e, per definizione, non merita censure. Ma non deve, in alcun modo, trasformarsi in un mondo parallelo e incontrollato in cui succede impunemente di tutto”. Sono parole del presidente Mattarella che abbiamo il dovere di fare nostre, ognuno per la propria parte: genitori, insegnanti, politica, istituzioni. Quella dei nostri ragazzi è una generazione iper-connessa, sono nativi digitali prima ancora di essere cittadini del mondo reale, di apprendere i rudimenti del nostro essere comunità e del nostro dovere di riconoscerci in un quadro di valori e princìpi condivisi. In un contesto in cui il web è anche denso di insidie dobbiamo porci l’obiettivo di attivare tutti gli istituti formativi, a cominciare dalla scuola naturalmente ma non solo dalla scuola, per rendere i giovani protagonisti di un nuovo concetto di cittadinanza digitale. Per questo, dopo avere introdotto da ministro la materia di Cittadinanza e Costituzione, ho presentato una proposta di legge che aggiorna quella visione e la mette al passo con tempi che evolvono rapidamente, ponendoci di fronte sempre nuove criticità. Una recentissima indagine Ipsos rivela quanto sia grande la sfiducia dei cittadini negli strumenti tradizionali delle istituzioni rappresentative e quanto sia pervasiva l’illusione di poter bypassare le lentezze della democrazia “tradizionale” delegando al web poteri smisurati e incontrollabili di determinazione delle scelte pubbliche: non è un mistero che ci siano movimenti politici che lucrano lucidamente e cinicamente su queste posizioni. Ed è pacifico che i giovani siano la categoria più esposta al rischio di condizionamenti e manipolazioni. Anche per questo è necessario aggiornare il loro “cassetto degli attrezzi’, fornire loro lenti adeguate a misurare la realtà, a districarsi in una foresta di fake news e odio virtuale (e purtroppo spesso reale), dare loro una moderna interpretazione dei princìpi fondamentali della nostra Carta costituzionale. Ciò servirà anche a evitare altre degenerazioni cui troppo spesso assistiamo nell’utilizzo del web, perché non può esistere uno spazio virtuale privo di regole e di princìpi. L’impegno trasversale che si sta manifestando in Parlamento intorno a una serie di proposte finalizzate appunto al ritorno di una rivisitata educazione civica nelle nostre aule scolastiche, come quelle di Massimiliano Capitanio della Lega e di altri colleghi di altri partiti, è un segnale positivo, che peraltro rilancia la meritoria iniziativa dell’Anci di una proposta di legge di iniziativa popolare per l’educazione alla cittadinanza. E tuttavia non possiamo fermarci a questo: non c’è solo la scuola e non ci sono soltanto le leggi. E’ necessario che questa battaglia di civiltà nel web e fuori dal web, inizi con i giovani e prosegua nella società: anche per questo ho voluto lanciare l’idea di una Convenzione nazionale per i diritti e i doveri dell’adolescente digitale, per creare quella necessaria alleanza tra famiglia, scuola e altri enti formativi, che ponga le basi, in modo condiviso, per l’aggiornamento della nostra proposta formativa, rendendola adeguata alle nuove sfide.

Mariastella Gelmini capogruppo di Forza Italia alla Camera

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