Tav: i grandi paraguru dei costi e benefici

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 12 gennaio 2019

Al direttore - Di Maio: prevedo il boom economico. Salvini: le canne non sono nel contratto.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - L’intervista a Marco Ponti sulla Tav (Corriere di ieri) mi fa pensare che ci sarebbe bisogno di un intervento (autorevole, di uno accademico) che spiegasse che le scienze riducibili a calcolo matematico (ridurre la natura a numeri!) sono pochine e certo non ci rientra la politica! Ché dopo i Nobel a Simon, Kahneman, Thaler davvero è difficile pensare che una decisione politica (cioè umana) possa essere ridotta a calcolo matematico dei vantaggi economico-finanziari, ché nelle decisioni umane conta il senso, il loro valore simbolico.

Mario Rodriguez

Quando un politico gioca la carta dei costi e dei benefici quel politico di solito sta cercando solo un modo per scaricare su qualcun altro la responsabilità di una scelta che non ha il coraggio di prendere da solo.

 


 

Al direttore - La vicenda della nomina del presidente della Consob, con il persistere del temporeggiamento dopo oltre quattro mesi di “vacatio” della carica, concorre a formare l’emblema dell’inadeguatezza del governo. Vi è, comunque, un aspetto che sembra diffusamente sfuggire. La proposta di nomina da sottoporre al capo dello stato – che ha l’insindacabile potere di accettarla o di rifiutarla ovvero, ancora, di richiedere su di essa ulteriori riflessioni – non è del Consiglio dei ministri, tanto meno delle due forze della maggioranza, ma, come dice la legge regolatrice, del presidente del Consiglio. Egli, cioè, è titolare di tale attribuzione “iure proprio”. Perciò non potrebbe mai essere un semplice “missus, quasi per litteram” di decisioni altrui. Dunque, è auspicabile che, in un clima in cui è parso che un ruolo attivo il premier cominci a essere intenzionato a svolgere, sia pure accompagnato da un tentativo manzoniano di “sopire, troncare… troncare, sopire”, Conte colga anche questa opportunità per far valere fino in fondo – in un campo delicato, in questo caso – tale specifico potere di iniziativa conferitogli dalla legge. Da stimato giurista qual è, è immaginabile che questa doverosità di comportamento non gli sfugga affatto. E allora? Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 


 

Al direttore - L’adesione di Beppe Grillo all’appello per la difesa della scienza, promosso da Roberto Burioni e Guido Silvestri, è stato un colpo durissimo per il côté oscurantista del movimento pentastellato. Luigi Di Maio ha masticato amaro, e non ha nascosto una pur contenuta delusione. Schiumanti di rabbia, i No Vax lo hanno invece accusato di essere un viscido traditore. Ora, la storia è piena di traditori, per mille cause e per mille passioni. Ma chi è il traditore? Che sia chi infrange un giuramento, o vìola il patto che unisce una comunità, pare abbastanza ovvio. Tuttavia, per non parlare degli adulteri nella sfera privata, l’attributo di traditore è stato dato anche a rivoluzionari e voltagabbana, apostati ed eretici, convertiti e rinnegati, ammutinati e disertori, spie e collaborazionisti, ribelli e terroristi, crumiri e pentiti. Se poi osserviamo il tradimento nelle diverse epoche, la percezione che ne hanno avuto i contemporanei è assai più mutevole delle sue definizioni formali. Non per caso uno che se ne intendeva, lo “stregone della diplomazia” Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, disse che “la trahison n’est qu’une question de temps”. Voglio quindi spezzare una lancia in favore del comico genovese. Stia sereno, e ricordi ai suoi detrattori la massima sul tradimento coniata a inizio Seicento da sir John Harington, un cortigiano della regina Elisabetta d’Inghilterra (famoso per aver inventato lo sciacquone): “Il tradimento non ha mai successo, per quale ragione? Perché se ha successo nessuno osa chiamarlo tradimento”. Beninteso, io mi auguro che abbia successo.

Michele Magno

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