Tutti a Torino contro l'immobilismo. Tutti a Roma contro l'inefficienza

Al direttore - I sindacati confederali e di categoria di Roma e del Lazio hanno invitato i lavoratori e i cittadini a votare No domenica nel referendum sull’Atac. La stessa indicazione di voto è venuta dal M5s, dalla Lega, da Fratelli d’Italia e dalla sinistra extra Pd (il quale, invece, ha dato indicazioni per il Sì insieme a FI). Come dice il proverbio? Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

Giuliano Cazzola

 

Tutti a Torino, sabato, contro l’immobilismo dell’Italia a bassa velocità. Tutti a Roma, domenica, al referendum sull’Atac, contro l’inefficienza dell’Italia populista – e votate Sì!

 


 

Al direttore - Possono due culture politiche tanto diverse, rimanere a lungo nello stesso involucro istituzionale? Possono due culture così contrastanti, convivere senza che nessuna delle due voglia fare il salto verso una dimensione post populista? Può continuare questo aberrante spettacolo di incapacità di accettare quel crocevia di bilanciamenti previsti dalla nostra Costituzione a garanzia della democrazia? Quanto potrà andare avanti la politica del “do ut des” nei decreti e nelle nomine di stato (dove la competenza non è il metro), prima dello schianto definitivo? Hanno creato una coalizione che si diceva pronta a cambiare l’Italia: finiamo la campagna elettorale e proviamo a fare qualcosa per l’Italia prima che sia troppo tardi.

Andrea Zirilli

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, ho avuto il piacere di salutarvi e presentarmi durante la meravigliosa giornata fiorentina. Rientrato a casa (a Pinerolo) dal giorno successivo ho ripreso a comprare il Foglio. Grazie.

Giorgio Mathieu

 

Viva i foglianti!

 


 

Al direttore - Per Machiavelli il popolo è, insieme ai “grandi”, uno dei “due umori diversi” che si trovano in ogni città; per Spinoza una massa informe quando è guidato più dalla paura che dalla ragione; per Hobbes una moltitudine dispersa e conflittuale prima che sorga lo stato; per Rousseau una comunità alla quale ogni individuo cede tutti i propri diritti. A queste e altre illustri definizioni ora si aggiunge quella data da Giuseppe Conte in un talk-show televisivo: “il popolo è la somma degli azionisti che sostengono questo governo”. Parole le quali dimostrano che non solo lo stomaco, ma anche il pensiero può essere assalito dai crampi.

Michele Magno

 

“Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall’intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l’onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla sempre”. (Ugo Foscolo)

 


 

Al direttore - L’articolo pubblicato sul Foglio del 9 novembre riguardante la Consob descrive benissimo ciò che ha significato il dimissionamento di fatto dalla presidenza di un personaggio dalla caratura internazionale di Mario Nava. Gli ultimi sviluppi sono ancor più deleteri. Per sostenere qualche candidatura del tutto inadeguata alla successione, si compie una pessima operazione di pura invenzione per provocare una distrazione di massa facendo credere che si tratta di evitare la nomina di un personaggio vicino a Paolo Savona – un personaggio che ha pur sempre una buona estrazione accademica, ma che non è in gara – o addirittura, e senza tema del ridicolo, di impedire la colonizzazione della Consob da parte della Banca d’Italia. Intanto, fra pochi giorni saranno trascorsi due mesi dall’uscita di Nava, senza che sia stata adottata alcuna decisione, smentendo clamorosamente quegli esponenti del governo che avevano assicurato gloriosamente, ottenute le dimissioni dell’ex presidente, che subito si sarebbe nominato un successore di grande prestigio e capacità. Siamo arrivati al punto che comincia a diffondersi l’idea che, alla fin fine, sia preferibile continuare con l’assetto attuale dell’incompleto collegio di vertice, presieduto da Anna Genovese nel ruolo vicario, piuttosto che arrivare a una nomina che goda soltanto di sponsorizzazioni partitiche non supportate, cioè, da una valutazione meritocratica. Non è, di certo, un’opzione esaltante, ma ciò la dice lunga sull’approdo infimo al quale stiamo purtroppo arrivando. E’ una situazione alla quale, a questo punto, potrà porre rimedio soltanto, con la sua autorevolezza e il potere di ultima istanza, il Quirinale.Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 


 

Al direttore - “Ci tengo a precisare che, al contrario di come scritto nell’articolo in questione, mio marito non è il mio portaborse. Non ha alcun contratto né percepisce un euro dalla sottoscritta”.

Marialuisa Faro, deputata M5s

 

Risponde Valerio Valentini: Prendo atto della sua rettifica. D’altro canto, a confermarmi che suo marito “la assiste e la consiglia su alcune questioni” sono stati i responsabili dell’Ufficio di comunicazione del suo Movimento. Non ho peraltro mai fatto alcun riferimento né a contratti né a retribuzioni di alcun tipo.

 


 

Al direttore - Da mesi aleggiano diverse opinioni sul destino del cinema italiano, in molti casi contrastanti tra loro. C’è una sorta di previsione apocalittica alternata ad un sentimento di noncuranza, come se il cinema fosse sempre quello, destinato a non cambiare o a soccombere da un momento all’altro. Eppure la qualità dei nostri film, riconosciuta nei festival internazionali più importanti, non raggiungeva dei livelli così alti da decenni. Cosa succede dunque? In realtà per la prima volta nella sua storia, il nostro sistema cinematografico è scosso da turbolenze esterne, legate all’avvento di nuovi operatori e nuovi modelli di fruizione dei contenuti, e da criticità interne ben note e da dover affrontare: una sempre presente stagionalità, una pirateria endemica al comparto e, infine, una contrazione della quota di mercato dei film italiani in sala progressiva e costante da tre anni a questa parte. La scelta di distribuire il film “Sulla mia pelle”, simultaneamente in sala e su Netflix – scelta che probabilmente si ripeterà anche per il film “Roma”, Leone D’Oro a Venezia – fa emergere alcuni quesiti per cui è possibile condividere qualche riflessione. Qual è il destino del cinema italiano se persino la Mostra di Venezia cambia? La risposta è correlata alla visione che ognuno di noi ha del cinema. Personalmente credo che oggi un festival serva innanzitutto a dare visibilità internazionale ai film più profondi e densi di significato, amplificando il loro incontro con il pubblico e quindi assegnando una forza mediatica che altrimenti sarebbe difficile ottenere. Mi riferisco a quei film capaci di scuotere lo spettatore, di porlo di fronte a domande che necessitano una risposta e quindi un grande lavoro di rielaborazione personale. E’ mia convinzione che quanto appena descritto sia strettamente connesso alla fruizione in sala e possa vivere solo con la sala. Non è solo una questione di business. Non è un problema che i nuovi operatori utilizzino i festival internazionali più importanti per far risaltare il loro marchio attraverso film di altissima qualità, come nel caso di “Roma” di Cuarón. Esiste però il rischio di dare visibilità, a chi non ne ha veramente bisogno o crede di poter fare a meno della sala. Chi pensa che il futuro del cinema possa esistere senza le sale non comprende realmente le implicazioni economiche, sociali e culturali di questa visione. Il patto che intercorre tra testo (il film) e lettore in sala è totalmente diverso da quello creato da altri modelli di fruizione. La sala è l’unico luogo sospeso e protetto in grado di dialogare con noi in maniera esclusiva per due ore, condividendo allo stesso tempo dei significati e delle emozioni con altre persone. La sala è il medium nella contrattazione dei significati tra film e pubblico. Lo stesso non accade davanti a un televisore. Se i film si trovassero ad inseguire modelli di fruizione differenti, inizierebbero a competere con contenuti i cui driver sono rivolti all’intrattenimento, pensati a priori per dei consumi domestici, con una dimensione più intima e certamente meno impegnativa. “La comunicazione è il mezzo” e se i film fossero creati direttamente per delle piattaforme on demand, a lungo andare assisteremmo a un cambiamento del linguaggio e dei contenuti proposti dalla cinematografia. Le funzioni culturali e sociali di un film sono e rimangono connesse alla sala. E’ una questione di tenuta identitaria del paese in un contesto dove le narrazioni e i contenuti mediali sono proposti da aziende di dimensioni globali e interessi, di fatto, sovranazionali. Mantenere elevata la quota di mercato del cinema italiano è quindi una prerogativa imprescindibile per chi ha a cuore il sistema cinema nel suo insieme. Che fare dunque? Garantire una “window” esclusiva a protezione della sala per i film italiani non solo significa custodire il senso più profondo del cinema, ma significa anche guardare ad una parte importante dell’economia del comparto. Tuttavia, ostinarsi a perpetuare lo stesso modello per tutti i film, in un momento in cui il mercato è definitivamente cambiato, potrebbe non rappresentare una scelta vincente. Bisogna incominciare a differenziare i prodotti in base a delle collocazioni che permettano ad ogni film di incontrare il proprio pubblico senza lederne il valore. Per molti di quei film che non riescono ad ottenere un grande riscontro in sala e che non andrebbero comunque oltre la settimana di programmazione potrebbe essere credibile pensare ad una sorta di canale preferenziale, creato con la collaborazione dei distributori e degli esercenti, che consenta un’uscita evento di qualche giorno, restringendo la “window”, per poter arrivare entro un breve lasso di tempo ai mercati secondari e a tutte le altre piattaforme, ottimizzando in questo modo anche le energie verso un’unica campagna di lancio. Un altro tema riguarda la generazione più giovane, avulsa in questo momento dal sistema cinematografico classico perché maggiormente coinvolta in prodotti sostitutivi come il “gaming” o complementari come le serie tv. Per questo pubblico sarebbe possibile creare un “cluster” definito da parte dell’esercizio per invogliare la visione del film in sala attraverso un prezzo del biglietto ridotto. Allo stesso tempo queste iniziative possono essere implementate solo se anche i nuovi operatori garantiranno il rispetto delle regole. Più volte ho sentito dire che l’avvento di Netflix rappresenterà un bene per il cinema italiano. Lo spero e mi auguro che ci sia un reale coinvolgimento proattivo anche verso la produzione italiana. Guardare al mercato italiano del cinema solo attraverso un’ottica relativa ai ritorni economici sarebbe inaccettabile per la nostra storia e per quello che il cinema rappresenta per il nostro paese. Il cinema non ha paura dei cambiamenti, lo ha sempre dimostrato, ma un film, per essere tale, non può fare a meno della sala. Chi pensa alla magia del cinema ne è cosciente così come chi auspica un futuro di crescita, sostenibile, nel suo insieme, per il nostro comparto. Il resto sono solo sguardi rivolti al breve termine, senza la creazione di effettivo valore per una parte fondamentale della nostra industria e della nostra cultura.

Paolo Del Brocco amministratore delegato di Rai Cinema

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