L'Argentina di Perón doveva essere giusta, libera e sovrana. Già sentito no?

Al direttore - Noi parliamo e Moody’s verbalizza?

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Quando si concluse vittoriosamente la guerra di indipendenza algerina, sui muri di Algeri apparve una scritta: “Un solo eroe, il popolo’’. Oggi la parola “popolo” viene usata per giustificare e legittimare la tirannia della maggioranza, in spregio alla Costituzione, alle istituzioni democratiche, alle leggi, ai trattati internazionali e alle regole del vivere civile. Dobbiamo allora manipolare la parola “eroe’’ e scrivere così: “Un solo reo, il popolo’’?

Giuliano Cazzola

Più che all’Algeria oggi penserei all’Argentina e più passano i giorni più mi convinco che tutti dovrebbero imparare a memoria un ragionamento fatto sul Corriere della Sera pochi giorni fa da Francesco Giavazzi e Alberto Alesina. “L’Italia corre rischi quali raramente ne ha corsi nella storia degli ultimi settant’anni. Il fatto che il governo giallo-verde continui a godere di un’ampia popolarità è una magra consolazione: i presidenti Kirchner erano acclamati da folle sterminate, ma ciò non ha impedito che l’Argentina si trasformasse da uno dei paesi più ricchi al mondo solo un secolo fa a uno in cui il reddito pro capite è oggi simile a quello del Messico”. Perón diceva di volere “un’Argentina socialmente giusta, economicamente libera e politicamente sovrana” e Salvini e Di Maio non sappiamo quanto volontariamente hanno scelto di sottoscrivere un contratto politico drammaticamente simile.

 


 

Al direttore - I nodi cominciano a venire al pettine. Come è ormai evidente, per Salvini e Di Maio è sempre più difficile disciplinare umori, interessi e obiettivi tra loro spesso divergenti. A Palazzo Chigi coabitano due partiti espressione di due elettorati distinti: uno chiede di redistribuire maggiori risorse al sud; l’altro di garantire al nord un fisco più benevolo e il presidio delle frontiere. Il controllo del bilancio pubblico è cruciale per rispondere a queste domande. Ecco perché alla fine hanno deciso di mettersi insieme. Ma la mediazione trovata per mantenere le mirabolanti promesse del contratto è appesa a un filo molto sottile, come dimostra la farsa andata in scena sul condono. E quando viene meno la fiducia reciproca tra i suoi contraenti, anche il più solido patto di potere si incrina. Dopo solo quattro mesi di convivenza nella stanza dei bottoni, le strade del gatto campano e della volpe lombarda rischiano di separarsi. Tuttavia, e senza sottovalutare il peso della cronica diffidenza dei mercati e della forte ostilità di Bruxelles, una crisi di governo non mi pare all’ordine del giorno. Né però si può escludere che una rottura si consumi già nella primavera prossima, tanto più di fronte a una candidatura del nostro ministro della Polizia alla presidenza della Commissione europea. Del resto, i titoli non gli mancano. Un tempo tra i militanti del Carroccio secessionista comparivano fantasiosi stendardi, ornati di guerrieri bellicosi e spade sfoderate. Oggi le truppe della Lega sovranista marciano invece sulle note di una retorica patriottarda, che scarica ipocritamente sull’Europa l’eterna protesta e la congenita diffidenza degli italiani verso lo stato, sentito come una realtà punitiva, estranea e usurpatrice. Paradossalmente, il consenso delle forze populiste domestiche oggi si nutre proprio di questo atavico e inguaribile malcontento, in cui l’arte del compromesso si scompone nella menzogna e nella furberia, si corrompe nella mancanza di principi, si avvilisce nel cinico egoismo. D’altronde, se troppo a lungo e impunemente il sistema politico tollera inefficienza pubblica e corruzione privata, lavoro nero ed evasione fiscale, perché dovremmo meravigliarci se scoloriscono i valori di solidarismo umano (come a Lodi), i diritti e i doveri che tengono unita una società? Il successo delle campagne xenofobe, orchestrate con grande spregiudicatezza dal responsabile del Viminale, non è forse ascrivibile proprio ai ritardi civili e culturali del paese, prima ancora che alle sue povertà materiali? Talvolta mi chiedo se non sia ormai tardi per riattivare il senso di una comune appartenenza storica, che sappia opporsi con efficacia a pulsioni plebiscitarie che puntano a devastare la democrazia parlamentare. Sì, sono pessimista. Ma il pessimismo è pericoloso solo se induce alla resa; altrimenti, come diceva Giovanni Sartori, il male lo fa il tranquillismo che induce a stare fermi mentre la casa brucia.

Michele Magno

Viviamo in un paradosso, caro Magno. Osservare con ottimismo chi governa è un pericolo. Ma per evitare di far proliferare ancora i campioni dello sfascio l’ottimismo resta ancora l’unica scialuppa di salvataggio. Ne parleremo a Firenze, alla festa del Foglio, sabato 27 ottobre. Tutti invitati.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, in presenza di importanti tensioni politiche, economiche o finanziarie (“risk off”), si assiste al tipico fenomeno del “flight to safety”, ovvero lo spostamento della liquidità, dalle attività più rischiose (es. Btp future), verso le attività che presentano un basso profilo di rischio (e più difensive) e che offrono di conseguenza bassi rendimenti (es. Bund tedesco). La correlazione tra queste, risulta essere negativa e di conseguenza influenza anche l’andamento dei mercati azionari: ad esempio il FtseMib, in situazioni di tensione sottoperforma le altre borse europee, mentre nelle fasi di non tensione, grazie alla sua composizione bancaria, sovraperforma gli altri indici azionari del vecchio continente. Un esempio? Il 19 ottobre, lo spread tra Btp e Bund ha toccato 340 punti base e lo spread della Grecia verso l’Italia è sceso sotto i 70. Piazza Affari è la peggiore delle borse europee, tirata giù dalle banche. Come ci diceva un vecchio motto del Governo inglese, nel 1939 prima della seconda guerra mondiale: “Keep Calm and Carry on” .

Andrea Zirilli

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