Whatever it takes, non they say. Di Maio e l'impossibile vaffa moderato

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 25 settembre 2018

Al direttore - Whatever it takes ma non whatever they say.

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Alla messa di domenica scorsa, la prima lettura della Liturgia della Parola era un brano tratto dal Libro della Sapienza: “Dissero gli empi: ‘Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta’”. Ho pensato subito al mio amico Giovanni Tria e ai valorosi dirigenti della Ragioneria generale, minacciati perché non si adeguano agli arbìtri dei nuovi (s)fasciti al potere e dei loro sgherri.

Giuliano Cazzola


  

Al direttore - Secondo gli ultimi sondaggi, più di un italiano su due condivide le politiche del governo. Dunque, almeno il 40 per cento degli elettori no? Non commettiamo il banale errore fatto dal Pd e da Renzi, quando si pensò che i due 40 per cento (alle europee e al referendum) fossero acquisiti alla causa. Gli europeisti convinti devono uscire allo scoperto, dichiararsi e unirsi. Spetta a noi, non agli euroscettici, indicare le strade di una riforma radicale delle istituzioni europee. Un’altra Europa è possibile, oltre la dittatura dei numeri e riscoprendo la sua anima sociale. Gli Stati Uniti d’Europa, non come un’utopia ma come un obiettivo per sostenere un progetto “federale”, che preserva un ruolo alle identità nazionali, al di là di una generica “Europa unita”, che presupporrebbe una prospettiva neo centralista. Facciamo delle prossime elezioni europee l’occasione di questo rilancio. E facciamolo dando vita a un’unica lista che unisca, oltre ai partiti, le coalizioni, i movimenti, tutti coloro che vogliono un’altra Europa. Non nessuna Europa, come vogliono i sovranisti. Se le varie sigle politiche in campo saranno generose e daranno vita a questa nuova esperienza, una parte non secondaria di tutti coloro che non condividono le attuali prospettive politiche troveranno, finalmente, un’alternativa. L’altro terreno su cui misurarci è più scottante, sebbene non scollato dalla questione europea: l’immigrazione. Riconosciamo i tre errori fatti negli scorsi anni: la sottovalutazione dell’impatto sociale ed emotivo dei flussi non gestiti; la sottoscrizione di accordi bilaterali, senza la garanzia di controlli che assicurassero la dignità delle persone in paesi come la Libia; l’assenza di vere politiche di integrazione dei richiedenti asilo, basate su lavoro e sull’apprendimento della lingua. Accanto a questi temi prioritari vanno ripensate le grandi tematiche della questione sociale, dal lavoro al welfare; dello sviluppo industriale, turistico e ambientale, sui quali (Ilva, Tav, Genova) già ben si vedono i limiti del governo; dell’urgente riforma della democrazia in crisi: i diritti personali in equilibrio coi doveri civili e il bene comune, la democrazia rappresentativa praticata non in modo elitario, ma come veicolo di partecipazione alla cittadinanza attiva. Insomma: riformismo, solidarietà e democrazia economica, sono ancora obiettivi per ricostruire un terreno ampio. Ma questa piattaforma ha bisogno di leader credibili, di volti e forme nuove. Se invece di dare avvio al cantiere riformista tutto si riducesse alla celebrazione di un confronto interno al Pd (il congresso è già clamorosamente in ritardo) e allo scontro tra candidature tradizionali, vorrà dire che non si è voluto cogliere i segni dei tempi.

Pier Paolo Baretta


  

Al direttore - L’audio carpito (si fa per dire) a Rocco “Tarocco” Casalino, sulla tremenda vendetta che si abbatterà sul Mef nel caso in cui non venga dato il via libera al reddito di cittadinanza, puzza di bruciato. Urca se puzza. Questi hanno capito che la balla sul reddito di cittadinanza non riescono a tenerla, per cui mettono le mani avanti e indicano già il colpevole: non la loro balordaggine parolaia e bugiarda bensì la Ragioneria generale dello stato. Speriamo che gli elettori italiani siamo meno boccaloni di quanto temo.

Valerio Gironi

Scandalizzarsi per un “pezzo di m.” non ha senso, ha detto ieri Di Maio in una lucida intervista al Fatto, se sei andato per anni a dire vaffanculo nelle piazze. I teorici della svolta moderata del M5s devono aver studiato nella stessa scuola dove Di Maio ha imparato la geografia.


 

Al direttore - In questa situazione di disagio obiettivo per la libertà e la democrazia non intendiamo intervenire sulle questioni giudiziarie di Roberto Formigoni ma vogliamo prenderci la libertà di esprimere pubblicamente la nostra gratitudine per la testimonianza che ha offerto di vero amore alla chiesa e di sollecitudine per il bene comune della società. Ricordiamo l’impegno per la libertà di educazione, per la sussidiarietà, per la salute, per la cooperazione internazionale e la pace, per lo sviluppo dell’intervento nel sociale ed altro ancora. Caro Roberto, potrai contare sull’amicizia di molti di noi.

Mons. Luigi Negri, Marco Ferrini

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