San Gennaro e i miracoli del governo. Soft Brexit anche no: viva Macron

Al direttore - Chi non crede di solito non cambia opinione di fronte alle prove. E chi crede non ne ha bisogno. Ma il culto di san Gennaro non teme confronti né con la scienza né con la politica. Tant’è vero, come narrano le cronache dell’evento, che mercoledì scorso molti napoletani, mentre attendevano nel Duomo la liquefazione della sacra reliquia, hanno chiesto a lui e non a Luigi Di Maio il miracolo del reddito di cittadinanza. Del resto, la devozione di cui gode il santo tra i ceti popolari è sconfinata. Essa non fu scalfita nemmeno dal nuovo calendario liturgico universale, varato da Paolo VI nel 1969 con la lettera apostolica Mysterii Paschalis. La riforma rendeva la festa patronale del 19 settembre obbligatoria e solenne a Napoli, ma facoltativa nel resto del mondo cattolico. Quando la notizia del suo “declassamento” cominciò a circolare in città, sui muri dei quartieri spagnoli apparve un invito vergato da una mano ignota, espressione della antica saggezza partenopea: “San Genna’, fottatenne”.

Michele Magno


 

Al direttore - Non sembrava che potesse essere veramente possibile, eppure la data del 29 marzo 2019 si sta avvicinando sempre più: non manca molto prima che la Brexit diventi realtà. Il negoziato tra il governo britannico e l’Unione europea sta entrando nella fase cruciale e, dopo tanti discorsi pronunciati da entrambe le parti circa le intenzioni di rimanere tutto sommato “buoni amici”, è giunto il momento di passare dalle parole ai fatti. E’ rimasto infatti poco più di un mese di tempo prima di trovare un accordo quadro che consenta a Londra e a Bruxelles di “divorziare” in maniera soft. Il Consiglio europeo di ottobre sarà il momento decisivo per ottenere la quadratura del cerchio, e la riunione che si è chiusa a Salisburgo (con l’Austria presidente di turno dell’Ue) è già un momento importante per verificare quale clima si respira tra i leader europei e pronosticare se il raggiungimento di un accordo è a portata di mano o se invece il rischio di una “hard Brexit” è ancora attuale. Al vertice informale che si è svolto nella città di Mozart, i capi di stato e di governo dell’Unione hanno avuto modo di verificare le reciproche posizioni e di discutere l’offerta messa sul tavolo da Londra con il White Paper pubblicato a inizio luglio. Da un punto di vista meramente pragmatico e utilitaristico, accettare la proposta britannica sembrerebbe ragionevole: l’istituzione di un’area di libero scambio per i beni e la definizione di accordi ad hoc per quanto riguarda gli scambi di servizi, sulla base di una sostanziale reciprocità a livello di standard e regolamenti, va nell’interesse di entrambe le parti. Però c’è di mezzo la politica a complicare le cose: da parte delle istituzioni europee, accordare a Londra tutte le condizioni proposte potrebbe essere una mossa rischiosa in quanto potrebbe incentivare altri stati membri a tentare la via dell’uscita dall’Ue. Assecondare le varie spinte centrifughe che si stanno diffondendo in questo periodo potrebbe essere pericoloso, specialmente in vista delle elezioni europee della prossima primavera. A complicare ulteriormente le cose, ci si potrebbe mettere anche la situazione interna del Regno Unito. L’accordo del “divorzio”, per poter entrare effettivamente in vigore, necessiterà della ratifica del Parlamento di Westminster (oltre che di quello europeo). Il Partito laburista di Corbyn ha già dichiarato che voterà contro il testo dell’accordo finale, privando Theresa May di un margine sufficientemente alto per poter dormire sonni tranquilli. La risicata maggioranza di cui il primo ministro gode è infatti di soli dieci parlamentari, un numero troppo basso per non temere un colpo di coda dei franchi tiratori interni ai Tories e che potrebbero essere manovrati dall’ex ministro degli Esteri, Boris Johnson. Prepariamoci dunque a vivere delle settimane calde e ad attenderci scenari e conseguenze difficilmente prevedibili. Dall’Italia, invece, non dovremmo attenderci particolari sorprese: il nostro paese ha manifestato fin dall’inizio un atteggiamento aperto e costruttivo verso la Brexit, e non vi è ragione per cui l’attuale governo, che simpatizza con la causa sovranista, debba cambiare linea cercando di mettere i bastoni tra le ruote alla Gran Bretagna. Del resto, le relazioni economiche tra Roma e Londra sono troppo importanti per poter essere messe a repentaglio da considerazioni dettate dall’emotività più che dalla realpolitik.

Giovanni Castellaneta

Io, caro ambasciatore, penso che abbia ragione Macron: “La Brexit è una scelta del popolo inglese e una scelta spinta da chi predicava soluzioni facili. Questo dimostra che chi dice che è facile stare senza Europa, che tutto andrà bene, ci saranno grandi guadagni, è un bugiardo”. Questo significa che una soft Brexit può essere un vantaggio per la Gran Bretagna ma può essere uno svantaggio per l’Europa. Se sbagli paghi. Ma un’Europa intelligente sbaglierebbe seguendo un approccio eccessivamente punitivo. Un accordo serve, una hard Brexit non va bene per nessuno, e Macron e Merkel dal duello con la Gran Bretagna possono uscire da vincitori senza dover punire un popolo che ha sbagliato i suoi calcoli.

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