Roberto Giachetti ci scrive per spiegarci il suo digiuno. Appunti sul governo del non lavoro

Le lettere del 20 settembre al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Siamo già alla tassa sulle seghe.

Frank Cimini


     

Al direttore - Caro Cerasa, cosa offre l’Italia a chi vuole investire? Una spesa pubblica fuori controllo e un conseguente fisco opprimente, infrastrutture arretrate e ora anche un mercato del lavoro tra i più rigidi in Europa. Il lavoro è la principale tra le leve del valore e serve un mercato del lavoro che sia dinamico e flessibile capace di creare occupazione di qualità, ma anche capace di tutelare l’occupabilità dei cittadini. Così si può dare stimolo alla competitività delle imprese. La flessibilità in entrata che serve è quella sicura, che garantisce regole e diritti ai lavoratori. Dico di più è la “cura” da dare al mercato del lavoro italiano, per rispondere a bisogni nuovi che non sono quelli di qualche anno fa. A questa va associata un’adeguata protezione sociale ai lavoratori che perdono il loro posto di lavoro. Così si tutela il lavoro: alta flessibilità, alti livelli di protezione sociale (e non assistenzialismo) e forti e incisive politiche attive. La flessibilità del lavoro, è ormai imprescindibile per rispondere alla realtà di un tessuto imprenditoriale variegato come quello italiano che ha bisogno di risposte che non possono essere uniformi per affrontare differenti realtà e differenti fasi della sua crescita.

Andrea Zirilli

  

C’è di più e per questo retoricamente le chiedo: ma un governo il cui ministro del Lavoro piuttosto che creare lavoro distrugge lavoro, un governo che aiuterà molti precari a essere ancora più precari, un governo che vuole chiudere i negozi la domenica, un governo che con il reddito di cittadinanza farà aumentare il lavoro nero, un governo che ha compromesso la credibilità dell’Italia senza aver fatto nulla, è un governo che può aiutare l’Italia a essere un paese più forte? Non bisogna essere intelligenti come Toninelli per rispondere correttamente a questa domanda.


  

Al direttore - Questa, sia chiaro, non è certo una smentita o una richiesta di rettifica. Mi piacerebbe però dare la mia personale risposta al collega Allegranti che nel pezzo di oggi sul Pd, in riferimento al mio annuncio di un digiuno per ottenere che sia fissata una data certa per il nostro congresso si chiedeva se “abusare di un gesto così nobile non rischia di svilirlo?”. E’ una domanda che ho sentito spesso soprattutto quando Marco Pannella e i radicali iniziavano uno sciopero della fame con l’evidente sottinteso che certe iniziative si assumono per cause ben più nobili. Vede direttore: per me la nonviolenza è una forma di lotta, è una pratica politica, è un dare “corpo” alle mie battaglie. Ovviamente, come Marco ci diceva sempre, il digiuno è una delle forme estreme di lotta nonviolenta che si mette in pratica quando altre iniziative non hanno ottenuto risultati. Chi digiuna non lo fa mai perché disperato, ma usa questa forma come arma della speranza. In questo senso non credo che possa stabilirsi alcun abuso altrimenti – paradossalmente – bisognerebbe stabilire una scala entro la quale sia indicato il limite tra l’uso o l’abuso o, peggio, un decalogo delle ragioni “nobili” per le quali è giustificato l’uso di questa arma nonviolenta. A mio personale avviso non è dunque in causa la nobiltà del gesto, o delle ragioni alle quali questo è legato, semplicemente perché non esiste una ‘nobiltà’ oggettiva. Esistono le ragioni e le convinzioni che sono dentro di noi e che perseguiamo sulla base della nostra formazione culturale e politica. Il nonviolento sa che quando sceglie la strada del digiuno non deve mai farlo in forma ricattatoria o per raggiungere un proprio fine, ma per ottenere che gli altri rispettino gli impegni assunti. Il fatto che il Pd – che per me rimane l’unico argine in Italia alla politica della propaganda e della superficialità che sta dominando il nostro sistema politico – stia consumandosi invece di rilanciarsi, è un fatto gravissimo non solo per le nostre sorti ma per quelle di tutto il paese. Come lei sa, sono mesi che in ogni altra forma possibile cerco di convincere tanti miei amici che hanno un reale potere decisionale, che per uscire fuori da questa situazione la celebrazione rapida di un congresso è condizione necessaria, indispensabile, anche se non sufficiente. A parole tutti dicono che sono d’accordo ma poi tutti, per un motivo o per un altro, prendono tempo e dunque perdono tempo. E quel tempo può diventare essere esiziale. Il rischio che il Pd imploda per me è un fatto di una gravità inaudita e, forse, dovrebbe esserlo per tanti altri anche non del Pd. Per questo ho deciso, dopo tante iniziative, di mettere in campo una di quelle estreme: lo sciopero della fame. Non per ottenere qualcosa per me, ma per garantire al nostro “popolo” di essere protagonista e al Pd la certezza di rispettare l’impegno sullo svolgimento del congresso, fissando subito una data per il suo svolgimento. E’ nobile? E’ poco nobile? Francamente non mi interessa. E’ urgente. E’ importante che questo accada e per ottenerlo lotto come so e come posso. Cari saluti.

Roberto Giachetti

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