L'estremismo al governo è il metodo dello scambio. Ci scrive Cattaneo

Al direttore - Ho molto apprezzato la linea chiara a supporto di scienza e razionalità che sul tema dei vaccini et similia la testata sta tenendo. E’ ammirevole l’attenzione anche alla legislazione minuta, come può essere l’ulteriore proroga al 2019 dell’obbligo di sottoporre i prodotti omeopatici all’Aifa per l’autorizzazione all’immissione in commercio secondo modalità semplificate (per quel che attiene la sicurezza del preparato; nulla si chiede invece – purtroppo – né Aifa certifica, riguardo alla prova di efficacia). Specie quando la notizia di questa norma, approvata insieme a quella di rinvio dell'obbligo vaccinale, è ignota ai più. Il “filo rosso”, ha ragione, è sempre lo stesso. Saperlo individuare e raccontare è importante tanto quanto operare per tagliarlo.

Elena Cattaneo, Università Statale di Milano, senatore a vita

 


 

Al direttore - Luigi Einaudi diceva che “la maggior parte delle parole comunemente adoperate dagli uomini politici, sono soprattutto notabili per mancanza di contenuto”. Assistendo al dibattito alla Camera e al Senato sul “decreto dignità”, mi sono accorto di quanto sia vera questa affermazione. Tra i banchi di chi sostiene il decreto (ormai convertito in legge), si parla di “abbattimento della precarietà, nel contrasto al contratto a termine e alla somministrazione di lavoro”, senza sapere che la vera precarietà si annida nel tessuto malato dell’economia sommersa dove regna il lavoro nero e il vero caporalato con “retribuzioni” di 3 euro all’ora onnicomprensive. Si parla poi di “supporto a chi non ha un impiego”, celebrando un assistenzialismo che mortifica e nega la dignità umana (il Nobel Yunus ci ricorda che “i salari sganciati dalla produzione fanno dell’uomo un essere improduttivo”) e non l’educazione al lavoro per i giovani e magari il supporto nel mercato per chi ha perso un lavoro, infine si celebra “lo stato che finalmente supporta i lavoratori nella ricerca di un impiego”, dimenticandosi che ci sono degli operatori privati che oltre a intermediarie domanda e offerta sono in grado di dare continuità professionale, investire in percorsi formativi per garantire l’occupabilità. Le parole della politica hanno bisogno solo di conoscenza e competenza e non di un facile populismo, perché parlare di ricatto e sfruttamento per il contratto a termine e non fare nulla per contrastare il vero lavoro nero, vuol dire che mancano le basi. Purtroppo poi a farne le spese sarà l’Italia intera e i nostri giovani che verranno espulsi dal mercato. Ne guadagnerà chi dovrà gestire i contenziosi.

Andrea Zirilli

 

L’Inps prevede che grazie al “decreto dignità” saranno almeno 80 mila i posti di lavoro che verranno persi nei prossimi dieci anni. Forza Italia dice, basandosi su una proiezione dei suoi parlamentari della commissione Bilancio, che il decreto causerà la perdita di almeno 130 mila posti di lavoro. Le imprese sono giustamente imbufalite. I lavoratori non stabili accusano il governo di averli resi ancora più instabili. I manager denunciano di essere stati danneggiati dal governo (secondo un’indagine commissionata da AstraRicerche per Manageritalia, basata su interviste a 578 dirigenti d’azienda, amministratori delegati, direttori generali e direttori del personale d’Italia, le modifiche introdotte dal Decreto Dignità sui contratti a termine danneggeranno le aziende e l’occupazione per il 62,4 per cento dei casi, e solo il 3,8 per cento pensa che invece le assunzioni saranno incentivate). Salvini fa capire che fosse stato per lui il “decreto dignità” lo avrebbe scritto in modo diverso e continua a dire e a far dire ai suoi che il problema però non sono le norme punitive contro le imprese ma sono gli imprenditori politicizzati che criticano il governo in modo strumentale prescindendo dal merito. Se vogliamo mettere da parte la miscela tra invidia sociale e odio anti industriale di cui questo governo è espressione sincera (ha ragione il presidente di Federmeccanica Alberto Dal Poz: combattere in modo ideologico la flessibilità non aiuta a creare più stabilità ma aiuta solo a creare più incertezza) conviene concentrarsi su un punto che fotografa bene la vocazione all’estremismo di Salvini e Di Maio. Quando due partiti in teoria distanti tra loro si accordano per formare un governo, i due partiti hanno due scelte. La prima scelta è trovare un punto di convergenza tra le proprie idee e trovare una mediazione sulle scelte importanti. La seconda scelta è non sforzarsi di trovare un punto di mediazione e accettare la logica dello scambio. Io mi prendo questo anche se a te fa schifo, tu ti prendi questo anche se a me fa schifo. E’ la ragione per cui il ministro della disoccupazione Luigi Di Maio ha fatto sapere di essere soddisfatto per essere riuscito a equilibrare le uscite di Salvini sui porti. E’ la ragione per cui questo governo è destinato non a diluire gli estremismi ma ad alimentarli purtroppo ogni giorno di più.

 


 

Al direttore - Per lo storico tedesco Wolfgang Sauer il fascismo, nel secolo scorso, fu il movimento dei “perdenti’’ all’interno del processo di modernizzazione. Ovvero “una rivolta di coloro che erano stati sconfitti – direttamente o indirettamente – dalla industrializzazione”. Non crede che, mutatis mutandis, questa definizione sia azzeccata per spiegare tanti “ismi’’ contemporanei?

Giuliano Cazzola

Il punto è che fino a oggi gli sfascismi hanno attirato anche buona parte dei così detti vincenti della industrializzazione. Vedi il nord-est, vedi il nord-ovest, vedi il Veneto, vedi la Lombardia, vedi il Friuli-Venezia Giulia. E più passa il tempo e più è evidente che sarà proprio questa parte del tessuto produttivo italiano a essere la vera spina nel fianco del governo sfascista.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, lei scrive delegittimare il competente. Che espressione elegante! Altro che delegittimare… il verbo giusto credo sia eliminare, e non in senso astratto o metaforico. A furor di popolo, s’intende. E la storia, ancorché per Montale non sia magistra di vita, comunque ci ricorda cosa abbiano combinato i popoli infuriati.

Gianfranco Trombetta

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