La sinistra e i nomi per ripartire (e sul congresso non si può aspettare)

Al direttore - Il Suo commento del 6 luglio, un vero e proprio manifesto programmatico, contiene delle alternative che, tutte, andrebbero approfondite e dibattute. Quella che potrebbe considerarsi la principale – sovranismo o crescita – é ineccepibile, per il carattere nettamente antitetico dei due corni del dilemma. Se però essa é riferita solo alle misure riguardanti alcuni aspetti della disciplina del rapporto di lavoro introdotte dal decreto impropriamente definito “dignità”, allora occorrerebbe dire che tali misure, non automaticamente riferibili a una concezione sovranista, non sono aprioristicamente errate, né rappresentano quello stravolgimento epocale del “Jobs act” che alcuni sottolineano, così come non sono la rivoluzione che in positivo i sostenitori, all’opposto, ritengono. E’, invece, il fatto che esse non sono accompagnate da una misura, fondamentale, sul cuneo fiscale e, più in generale, da una politica economica per gli investimenti pubblici e privati e la crescita (che il ministro Tria, però, comincia a ritenere essenziale, anche con riferimento ai vincoli comunitari: leggasi necessità della “golden rule”) che le pone in una luce diversa e può alimentare i contraccolpi negativi. Non è certo sufficiente, insomma, rivedere alcune limitate regole per innescare un percorso virtuoso per la crescita e l’occupazione. Nè sembra appropriato, però, dire che queste regole danneggino crescita e occupazione perché una tale critica sottende l’immutabilità della politica economica e di finanza pubblica, cosa che sarebbe veramente esiziale. Con i migliori saluti.

Angelo De Mattia

 

Combattere il precariato attaccando la flessibilità significa combattere il lavoro. Una politica del genere non dà dignità al paese ma gliene fa perdere ogni giorno un po’. Goccia dopo goccia. Giorno dopo giorno.

 

Al direttore - Se penso ai bagni di folla del “capitano del popolo” Matteo Salvini e al fanatismo dei suoi fan sulle piazze e sui social, ho l’impressione che molti, forse troppi italiani ormai preferiscano alla democrazia del voto la democrazia dell’applauso, all’elezione l’acclamazione. E’ la maniera, che dopo Max Weber non dovrebbe avere più segreti, con cui i seguaci legittimano il capo carismatico. L’acclamazione, in altre parole, legittima la sua investitura. E il capo che ha ricevuto un’investitura, nel momento stesso in cui la riceve, si può sentire svincolato da ogni mandato ed è tentato di rispondere solo a se stesso e alla sua “missione”. Le pulsioni plebiscitarie dei leader politici non sono mancate nella storia repubblicana, ma oggi hanno un rilievo e un carattere del tutto inediti. La formazione dell’opinione pubblica è infatti influenzata solo in modesta misura dai media tradizionali. Nessuno come Salvini (e Grillo) sa invece usare quella formidabile macchina del consenso che nel mondo di internet va sotto il nome di “cascate informative”. Queste si creano quando una fonte d’informazione promuove una credenza, e mano a mano un sempre maggior numero di persone la accoglie come vera. La realtà “percepita” si sostituisce così alla realtà effettuale e il gioco è fatto. Beninteso, il gruppo dirigente Pd queste cose le sa. Eppure, mentre continua a farsi le scarpe su leadership e progetto, pare decisamente poco interessato alla ricostruzione organizzativa del partito. Come se alla potenza industriale dei suoi competitori fosse ancora sufficiente contrapporre il nobile artigianato dei circoli e delle primarie. Le tue idee diventano importanti se riesci a comunicarle e a farle conoscere ai cittadini. Impresa impensabile senza una grande infrastruttura telematica che metta in rete esperienze amministrative e di lotta locali, programmi nazionali, associazionismo sociale, liste civiche. C’è qualcuno che si ricorda di Bob (Kennedy), la piattaforma digitale alternativa a Jean-Jacques (Rousseau) lanciata più di un anno fa da Matteo Renzi?

Michele Magno

 

Al direttore - E’ facile di questi tempi trovare rischi e problemi al Pd. E’ facile quindi anche per me aggiungerne uno. La subalternità. Prima di tutto nelle idee, nelle analisi del mondo e di conseguenza nelle proposte. La situazione diventa allora veramente preoccupante. Con qualche rara eccezione vi è un mantra ripetuto da diversi esponenti del Pd – ” la causa della sconfitta sta nell’avere sposato la globalizzazione e il neo liberismo”. Zingaretti si spinge addirittura a parlare di “fallimento della società occidentale”. Dove? Abbiamo alle spalle il più lungo periodo di benessere della storia mondiale. Per quantità, qualità ed estensione geografica. In tutte , o in quasi tutte le aree del mondo son aumentati i livelli di reddito, si è ridotta la povertà assoluta, sono aumentati i livelli di istruzione e l’emancipazione femminile. E questa grazie all’apertura del mondo. Allo scambio di merci, di competenze e lavoro, alla libertà di investimento. Cioè alla globalizzazione accompagnata da un’impronta liberale. Quanto al fallimento della civiltà occidentale basta vedere dove si dirigono i flussi migratori: verso l’Europa e verso gli USA. Cosa ben diversa è affermare, lo fanno Calenda e Minniti con parole accurate, che questo processo genera anche sofferenze e può portare al collasso della democrazia liberale e , allora sì, alla tragedia. L’Italia rappresenta l’anello debole. Ma non a causa della globalizzazione che anzi consente alle parti più dinamiche dell’economia italiana di sorreggere PIL e occupazione, ma a causa di sé stessa. Del suo debito, della sua burocrazia , del peso anormale che le diverse corporazioni esercitano. Parlare di liberalismo in Italia è come parlare di libertà femminile in un gruppo di fondamentalisti islamici.

Ma soprattutto non è chiaro, anzi è molto oscuro, che cosa si contrapponga a questa narrazione che è tipica delle destra xenofoba e illiberale. Dove il disorientamento di largo strati della popolazione viene scaricato con tecniche tipiche delle manipolazione propagandistica su una serie ben scelta di “capri espiatori”: gli immigrati, l’ Europa, la finanza internazionale. Mancano i comunisti, ma in compenso c’è Renzi. Per gli ebrei c’è tempo. Quel che non si capisce è che se si comincia a cedere nella lettura della storia, delle cause e delle responsabilità, si apre la strada ad un disastro, che già si intravede. Un conto è farsi carico delle paure un altro accettare per buoni i pretesti con cui vengono continuamente alimentate. Se si parla di fallimento dell’Occidente la frittata è bella e fatta. Che cosa è la guerra commerciale , fatta di dazi, limitazioni alla circolazione delle persone se non i’anticipazione di un ritorno ai drammatici anni ‘30, quando i nazionalismi e le autarchie fecero a pezzi l’ Europa e la pace. Che cosa ha da guadagnare l’Italia da tutto questo? Niente. Povera di materie prime e indebitata deve vedere come una minaccia mortale ogni ritorno all’ autarchia. Il vero mostro da combattere non è la globalizzazione, ma la fine della stessa. I cosiddetti sovranisti, oggi tatticamente alleati, sono destinati a scontrarsi a breve. Se ognuno mette il suo Paese al primo posto contro tutti gli altri il gioco non è a somma zero, ma a somma negativa e drammatica. Quali sono i rimedi? Alcuni li ha indicati Calenda. Apertura, investimenti nella conoscenza, gestione ragionevole delle paure e delle transizioni inevitabilmente dolorose. Ma bisogna fare molta attenzione con le parole . I valori dell’Occidente, libertà personale. libertà di circolazione, di commercio, democrazia, esistenza di contrappesi, protezione delle minoranze sono troppo importanti per essere liquidati insieme ad un giudizio tirato via sul fallimento della civiltà occidentale. Per battere le paure, ma soprattutto per non avere paura della paura, anziché accomodarsi in giudizi liquidatori sull’Occidente occorre ristabilire, ha straragione Calenda, la verità dei fatti. Difendere senza tentennamenti l’ impostazione liberale ed aperta delle nostre democrazie. Ed non avere, lo dico anche a Calenda, paura del futuro. Mi rifiuto di credere che un mondo capace di usare al massimo l’innovazione tecnologica, di alleviare drasticamente la fatica umana non riesca a trasformare questa ricchezza in benefici per tutti. Ma il futuro allora va governato non esorcizzato. Tutto il resto, come deve essere il Pd, la democrazia dal basso, dall’alto, inclusiva, alternativa, di sopra, di sotto, di traverso, periferica , urbana o provinciale, è solo chiacchiera. Se occorre attraversare il deserto attrezziamoci. Qualche anno fuori dal tempio potrebbero anche servire a rigenerare uomini e idee. Soprattutto queste ultime necessarie come il pane. Ma non esiste una terra di mezzo, fatta di luoghi comuni, dove collocarsi per estinguersi in pace.

Chicco Testa

 

Vero. Ma una candidatura di Zingaretti, oggi, come garante del triumivrato Calenda/Gentiloni/Minniti, potrebbe dare vitalità al Pd. Vivacchiare non ha senso. Rimandare è una pazzia. Si facesse un congresso subito, prima delle Europee, e si desse la possibilità a chi ha consenso da spendere di misurarsi sulla base di un programma, e non solo solo sulla base di una tattica, o di una chiacchiera.

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