L'attrice Dakota Johnson (Ansa)

Lettere rubate

L'effetto cringe di “Persuasione”, film Netflix tra Jane Austen e presente

Annalena Benini

La tensione modernizzatrice porta l'Anne Elliot di Dakota Johnson più vicina a instagram che alla ferdeltà all'autrice inglese

“Sì, eccomi qui, prontissimo a fare un matrimonio sciocco. Qualsiasi donna, dai quindici ai trent’anni può avermi, basta che chieda. Un po’ di bellezza e qualche sorriso, qualche complimento alla marina e io sono un uomo morto”. 
(“Persuasione”, Jane Austen)

“Dai quindici ai trent’anni” è una frase ferocemente accettabile nel mondo di duecento anni fa, e Jane Austen la usa per il suo ritratto tagliente della società a lei contemporanea, ma adesso nemmeno un film ambientato duecento anni fa può gettarsi addosso un tale discredito in nome della fedeltà, e del resto a nessuna trasposizione cinematografica è richiesta la fedeltà. Il capitano Wentworth, ancora innamorato di Anne Elliot, ma ferito da lei otto anni prima e quindi distante e decisamente troppo torvo e imbambolato, cambia la sua affermazione così: “Qualunque donna, tra i diciotto e gli ottant’anni può avermi”, e tutti siamo più rilassati, ma anche meno convinti.

“Persuasione” di Carrie Cracknell, da poco su Netflix con Dakota Johnson nei panni di Anne, la più complessa delle eroine di Jane Austen, anche la più anziana (pericolosamente più vicina ai trent’anni che ai venti), è una commedia brillante e romantica in continua tensione modernizzatrice. Si sente l’imbarazzo per le regole dell’età vittoriana, ma anche la volontà di costruire qualcosa che sia spendibile su Instagram (frasi che sembrano meme, le smorfie e lo sguardo corrucciato e ironico di Anne Elliot direttamente in camera: come in “Fleabag”, anche con lo stesso rossetto, ma con gli abiti della campagna inglese). Anne Elliot nel romanzo di Jane Austen non è una ragazza che si attacca alla bottiglia del vino rosso e fa gaffe a tavola con la famiglia, non ride dei tremendi difetti del padre, della sua vacua vanità, e non racconta alle cugine nobili sogni in cui un gigantesco polipo le divora la faccia. Anne Elliot ha una compostezza e una profondità che evidentemente contrastano con la necessità di un’aria sfacciata e moderna, con l’urgenza di fare didascalie: “Ora siamo peggio che ex. Ora siamo amici” per poi ubriacarsi in camera da sola, sempre troppo consapevole della sua immedesimabilità. Ma perché per essere moderne bisogna strizzare l’occhio a Bridget Jones? Non è già piuttosto antica anche lei? E poi, capitano Wentworth: ti immaginavo migliore di così. Meno bellimbusto, più essere umano ragionante. Per gli amanti di Jane Austen ci sono molte altre sorprese in questo film, ma soprattutto la rivelazione delle ansie del cinema americano di sembrare rivoluzionario non essendolo affatto, applicando anzi il massimo della normalizzazione. Tutti i personaggi sembrano dire: scusate, era duecento anni fa, noi siamo diversi, per questo sembriamo così cringe.          

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.