Le meravigliose, disperate lettere a Francesca di Enzo Tortora, e quello spiraglio per respirare

Annalena Benini
Leggere oggi le meravigliose, disperate, vivissime lettere a Francesca, la sua compagna, le lettere che lui le scrisse dal carcere in quei mesi atroci e definitivi, crea un nuovo sconvolgimento, una nuova vergogna, e ancora incredulità.

Ho voglia, amore, di immaginarmi altrove. Di parlarti d’altro, magari di quella fantastica, magica, piccola felce che vibrava eternamente, quasi a ricordarci che tutto è vita. Belgirate. Le vecchie, pudiche, garbate signore di Biella. Il tramonto e quegli alberi giganteschi e io con la mano nella tua. Ora i miei compagni giocano, calano denari, bussano, lisciano, caricano, io mi sono accucciato in un angolo e ti scrivo. D’altro, Francesca. Ho proprio voglia d’altro. Forse è una legge di compensazione. Più crolli nel pozzo della vergogna, più hai desiderio di volare. E adesso, volo (…) Io ti abbraccio con tutto il mio cuore. Non ho altro disponibile. Tuo Enzo
Enzo Tortora, “Lettere a Francesca” (Pacini editore)

 

"Ha scritto Leonardo Sciascia che Enzo Tortora è morto con la grande illusione che il suo sacrificio di innocente potesse servire a qualcosa. E’ morto dopo che “una bomba atomica mi è scoppiata nel petto”, come ha detto lui in ospedale, e leggere oggi le meravigliose, disperate, vivissime lettere a Francesca, la sua compagna, le lettere che lui le scrisse dal carcere in quei mesi atroci e definitivi, crea un nuovo sconvolgimento, una nuova vergogna, e ancora incredulità per quello che è potuto succedere e che è accaduto in modo così preciso e folle, e ammirazione e dolore per un uomo travolto dall’ingiustizia, dalla prigione, dall’incuria crudele di un paese pronto a dire, subito: è colpevole. Da Regina Coeli, a Roma, mentre esplode l’estate nel 1983, Enzo Tortora scrive a Francesca: “Mi tiene in piedi, solo, la volontà di dimostrare a quelli che amo, di essere innocente, e di uscirne a testa alta. Ma è stato atroce, Francesca: uno schianto che non si può dire. Ancora oggi, a sei giorni dall’arresto, chiuso in questa cella 16 bis, con altri cinque disperati, non so capacitarmi, trovare un perché, una ragione: trovo solo un muro di follia. Se è possibile questo, Francesca, è possibile tutto”. Il cuore gli si spezza dentro, scrive Enzo Tortora, per l’indicibile, iperbolica sofferenza e umiliazione, per la mancanza di tutto, anche l’aria perché nel cortile, un’ora al giorno, c’erano i paparazzi appostati sui tetti per fotografare Tortora carcerato. Tortora camorrista, anche perché il suo nome stava in un’agendina, ma nessuno per mesi ha controllato quell’agendina, nessuno ha controllato il nome e il numero di telefono, e il nome e il numero di telefono erano di Enzo Tortona, commerciante di Caserta.

 

A Tortora da un giorno all’altro hanno portato via ogni cosa, la libertà, la reputazione, il lavoro, il caffè nella tazzina del bar, camminare per strada, dormire in un letto, gli hanno strappato tutto, e a lungo, tranne l’amore: le lettere di Francesca, i suoi telegrammi affettuosi e preoccupati, dentro quel passo d’inferno che loro due non potevano sapere sarebbe diventata la loro vita. Lui le chiede forza, e le fa forza, anche quando è distrutto dal dolore, le chiede di vivere, di andare in vacanza, di lavorare. “Prepara un bicchiere. Perché sai che a noi ne basta uno. E guarda il cielo, la sera. Salutami le cicale, il mare, mangia un fico d’India come quello che ti dava il nonno, e riposati. Solo così io riposo. Solo se chi amo vive, posso avere gioia e pace. Ti stringo forte sul mio cuore, Cicciotta. Coraggio. A nessuna coppia, sai, è capitato questo. Potremo persino darci delle arie. Siamo irripetibili… almeno, spero… Enzo”. Dentro quell’inferno, costruito anche da chi, fuori, sogghignava per Enzo Tortora camorrista e spacciatore, e dai secondini che lo controllavano al bagno, c’è stato uno spiraglio per respirare, insieme all’amore di Francesca: l’amicizia dei detenuti, una solidarietà impensabile altrove, i compagni di cella che l’hanno guardato in faccia e gli hanno detto: non c’entri.

 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.