Il dono del Cav. e il bipolarismo possibile. Quanto vale in Italia “non fare”

Al direttore - Con la nascita del governo Lega-M5s, l’eventuale progetto di partito unitario del centrodestra ottiene una battuta d’arresto. E mentre la Lega sarà impegnata in un governo e tenterà di assorbire comunque l’elettorato e il “corpaccione” di Forza Italia, quest’ultima ha un’occasione irripetibile stando all’opposizione (seppur benevola): rilanciare il partito, rilanciare il messaggio liberale, riscrivere i suoi contorni creando quel famoso partito popolare di massa che avrebbe dovuto essere il Pdl. Insomma, la prospettiva di una nuova formazione politica ampia, con leadership contendibile, di centrodestra, nazionale, liberale e riformista. Sprecare questa occasione sarebbe un delitto verso tutti coloro che non intendono morire “populisti”. E credo che il Foglio dovrebbe farsi convinto promotore di questo progetto.

Vittorio Aldo Cioffi

 

Dovrà nascere non un nuovo Pdl o un nuovo Pd. Ma un Pdr. Un partito della ragione. Ne parleremo.

 


 

Al direttore - Non avrei mai pensato che Silvio Berlusconi facesse propria la celebre battuta di Groucho Marx, rilanciata da Woody Allen: “Non mi iscriverei mai ad un club che accettasse tra i suoi soci persone come me’’.

Giuliano Cazzola

 

La si può vedere così. Ma la si può vedere anche in un altro modo: ancora una volta Berlusconi ha fatto un passo in avanti per provare a semplificare lo schema politico. Di là gli antieuropeisti, di qua gli europeisti. Potrebbe essere un disastro. Ma potrebbe essere anche un regalo.

 


 

Al direttore - Converrebbe ogni tanto ricordare quanto ci costa il “non fare”, quanto ci costa la sistematica atarassia che caratterizza i comportamenti di alcuni soggetti preposti alla gestione di ciò che chiamiamo “cosa pubblica”. E allora per rendere leggibile e misurabile questo costo effettuiamo una banale analisi. La produzione industriale del Paese negli ultimi anni ha raggiunto una media annuale di circa 960 miliardi di euro; il costo della logistica, in particolare la componente della logistica che caratterizza la movimentazione dei prodotti, ha un valore pari a circa 180 miliardi (cioè il 20 per cento) del valore della produzione. Negli altri paesi della Unione europea tale incidenza si attesta su un valore pari a circa il 6-8 per cento. Se il nostro paese fosse simile agli altri partner comunitari il costo della logistica si attesterebbe su un valore pari a circa 118 miliardi di euro. Annualmente, quindi, il nostro paese ha un costo di circa 62 miliardi di euro in più rispetto agli altri paesi della Unione europea. Annualmente il nostro paese si carica di un onere aggiuntivo pari a quanto contenuto in almeno tre o addirittura quattro leggi di Stabilità. Annualmente il nostro paese recuperando questa folle diseconomia potrebbe pagare il rateo di un mutuo che in soli 30 anni potrebbe azzerare davvero il debito pubblico. Automaticamente scattano, dopo questa analisi elementare, questi due distinti quesiti. Primo: ma questo dato è vero? Secondo: qual è o quali sono le cause di una simile diseconomia? In merito al primo quesito, purtroppo, una serie di studi, una serie di approfondimenti portati avanti dal vasto mondo del trasporto lo confermano. C’è solo un sistematico dibattito se l’incidenza debba essere del 20 o del 18 per cento, se tale incidenza sia più elevata in alcune zone del paese rispetto ad altre, un dibattito quasi continuo tra Confetra, Confcommercio, Confindustria, ecc. ma che non intacca minimamente la dimensione globale del fenomeno. In merito al secondo quesito in più occasioni ho elencato: costi folli, ad esempio, della distribuzione delle merci nelle nostre realtà urbane (piccole, medie e grandi); costi folli della movimentazione sulle nostre reti stradali ed autostradali (un esempio classico è l’incidenza del traffico sul raccordo anulare di Roma: oltre 160.000 veicoli giorno con una fluidità bassissima e quindi con costi da congestione altissimi); i costi folli per l’accesso e l’uscita dai nostri hub logistici (porti, interporti, aeroporti). Basterebbe misurare i costi sopportati dai mezzi di trasporto per l’accesso ai porti di Napoli, Genova e Trieste; i costi legati all’attraversamento delle arterie principali del nostro sistema stradale quali ad esempio il corridoio tirrenico e quello adriatico; i costi legati ai collegamenti con il nostro sistema insulare; i costi legati alla assenza di una offerta organica e completa del sistema ferroviario; un sistema in cui sono in corso di attuazione programmi definiti e in molti casi supportati finanziariamente da oltre dieci anni; i costi legati ai transiti lungo i valichi dell’arco alpino su strada e su ferrovia ancora non adeguati a una movimentazione sempre più in crescita (lo scorso anno oltre 150 milioni di tonnellate) con un’offerta che dimensionalmente è ancora simile a quella che garantiva il transito a 40 milioni di tonnellate. E in più occasioni ho elencato che la visione lungimirante della legge Obiettivo, varata nel 2001, e mirata a realizzare un Programma decennale di reti infrastrutturali conteneva al suo interno una forte esigenza, conteneva al suo interno una chiara motivazione: non ritardare il processo di infrastrutturazione organica del paese proprio perché solo in tal modo avremmo ridimensionato la incidenza del costo della logistica e avremmo offerto al paese una ricchezza certa e da tutti noi però non capita. Insisto nel cercare di convincere, sulla validità di queste analisi, coloro che da anni seguono la tematica delle infrastrutture e che però spesso dimenticano che “non fare” sia un vero reato, sia sicuramente da annoverare tra i peggiori danni all’erario.

Forse dovremmo smetterla di dare la colpa ai movimenti spontanei come i No Tav, la colpa e la responsabilità non è di chi blocca dall’esterno ma, nella maggior parte dei casi, di chi è all’interno dello stato.

Ercole Incalza

Di più su questi argomenti: