Abu Mazen (foto LaPresse)

Abu Mazen, la Shoah, i nemici della società libera e i loro complici

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Il governo del cambiamento: vaffanculo.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Secondo Abu Mazen la Shoah è stata colpa anche degli ebrei. Ma di che cosa sono colpevoli secondo il leader palestinese? Di essere ebrei. Se non si fossero ostinati a sopravvivere a persecuzioni, conversioni forzate, pogrom, deportazioni e massacri nel corso dei secoli non ci sarebbe stata nessuna Shoah.

Giuliano Cazzola

 

Ieri come oggi, per gli antisemiti, per gli anti israeliani, essere ebrei è una provocazione inaccettabile e in alcuni casi l’unico modo per essere ebrei è quello di non dare fastidio, di non essere se stessi, di non indossare una kippah. Come ha ricordato la scorsa settimana il nostro Giulio Meotti, secondo un sondaggio dell’Unione europea già oggi il 49 per cento degli ebrei svedesi nasconde il copricapo, come il 36 per cento di quelli di Bruxelles e il 40 per cento degli ebrei di Francia. Le parole di Abu Mazen non potevano arrivare in un momento migliore: mai come oggi la libertà dell’occidente si misura anche attraverso la libertà che ha ogni ebreo di poter essere se stesso senza doversi nascondere. E chi ascolta senza indignarsi parole come quelle di Abu Mazen non è solo distratto. E’ molto peggio: è un complice dei nemici della società libera.

 

Al direttore - Renzi sarà arrogante (e lo è), sarà inviso a molti (e lo è), sarà narcisista (e lo è), avrà sperperato con madornali errori di comunicazione un discreto tesoretto di riforme (e lo ha sperperato), ma resta l’unica personalità di rilievo di un Pd afono, a cui ha restituito voce e carattere. Il senatore di Rignano non è però soltanto la delizia, ma anche la croce del suo partito. Nel senso che in buona misura è il tappo di un gruppo dirigente mediocre, che ha gestito in modo approssimativo e dilettantesco il passaggio del dopo voto. La direzione dell’altro ieri, è vero, ha finalmente chiuso l’incredibile balletto messo in scena da dialoganti, trattativisti e quinte colonne dei pentastellati. Ma guai a illudersi. Si tratta di una “concordia discors”, di una concordia di parole e di una discordia di giudizi, posizioni, idee sul che fare. Vorrà dire pure qualcosa, del resto, se sono mancati fin qui un confronto alla luce del sole e una valutazione condivisa delle ragioni che hanno determinato un lungo quanto drastico declino dei consensi. Come non è privo di significato il silenzio della Direzione sulla proposta politica avanzata da Renzi nei giorni scorsi, quella di una riforma istituzionale ricalcata sul modello francese. “Vasto programma”? Forse, ma il Pd dovrebbe almeno insistere sull’esigenza di una legge elettorale, che offra maggiori chances di governabilità, come obiettivo prioritario del governo di tregua (o come diavolo si chiamerà) in gestazione. Il presidente Mattarella è persona dotata di buon senso e ha molto a cuore l’interesse nazionale. Sarei sorpreso se non suggerisse alle principali forze politiche di gettare alle ortiche il Rosatellum. Salvini e Di Maio gli diranno di no? Se ne assumeranno la responsabilità di fronte agli italiani.

Michele Magno

 

Al direttore - La Bce ha ragione nel sostenere (come si ricorda nell’editorialino sul Foglio del 3 maggio) che il cambio non rientra nel suo mandato. Esso è di competenza dei governi che però, paradossalmente, mai finora se ne sono occupati. Ovviamente, sul cambio si può incidere in maniera indiretta, ma resta il fatto che la non attribuzione alla Banca centrale di una tale competenza costituisce un limite perché, poi, essa non è esercitata da nessun altro soggetto. Quanto alla prosecuzione di manovre monetarie espansive, alla Bce spetta l’obbligo cogente, discendente dal Trattato Ue, di mantenere la stabilità dei prezzi che è ritenuta conseguita quando l’inflazione raggiunge il livello “intorno, ma sotto il 2 per cento”, dal quale ora siamo ancora lontani, mentre negli Usa questo stesso livello sta per essere toccato: donde la maggiore probabilità che la Fed, a partire da giugno, promuova aumenti dei tassi di riferimento. Una volta raggiunto il suddetto obiettivo anche nell’Eurozona con politiche decisamente accomodanti, non sarà facile ipotizzare contromisure di politica monetaria agli eventuali dazi americani. Dovrebbero essere, invece, i governi e l’Unione ad agire utilizzando la panoplia a disposizione sul terreno giuridico, politico ed economico. Di un contesto diverso, naturalmente, la politica monetaria non potrà non tenere conto, ma tutt’altra cosa sarebbe ritenere affidabile a essa la lotta antidazi.

Angelo De Mattia

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