Le consultazioni in una frase di Flaiano: “Coraggio, il meglio è passato”

Al direttore - C’è un fil rouge, lo si è visto anche in occasione del recente quarantennale del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta, che ha unito e continua a unire le analisi e i commenti su quella tristissima pagina della storia contemporanea italiana. Il fil rouge è dato dal fatto che non poco peso, sia nella scelta del bersaglio da parte degli esecutori dell’efferato crimine sia guardando al contesto politico anche internazionale dell’epoca sia, ancora, in certe interpretazioni della linea della fermezza interna alla Dc, non poco peso sembra avere nelle ricostruzioni circa il “perché proprio Moro” l’obiettivo perseguito in quegli anni dallo statista democristiano di portare il Pci di allora nell’alveo di governo, ciò che avrebbe significato il superamento di fatto (ma anche, e soprattutto, teoreticamente) delle logiche e degli equilibri del patto di Yalta. Insomma Moro e il suo progetto di un’alleanza Dc-Pci erano invisi a tutti, a sinistra come a destra passando per una parte del centro, motivo per cui divenne il bersaglio privilegiato del terrore di quegli anni. In realtà questa che a tutt’oggi va per la maggiore è una lettura parziale che a detta di non pochi osservatori andrebbe quanto meno contestualizzata in un disegno più organico. Detto altrimenti: esiste una lettura di quei fatti sicuramente minoritaria ma che forse ha il pregio di saper cogliere più a fondo e meglio di altre la lungimiranza politica di Moro. E’ vero, Moro cercava, o quanto meno voleva esplorare possibili punti di incontro col Pci. Ma, questo è il punto, per meglio neutralizzare, una volta trovata la forma istituzionale più idonea, la portata potenzialmente letale che il Pci di allora portava con sé, stante il fatto che la gran parte delle istanze di cambiamento, di protesta e di lotta vera e propria erano prevalentemente “rosse”. Nessun cedimento sui princìpi, dunque, nessun compromesso al ribasso per un mero tornaconto politico. Né tanto meno alcun ammiccamento nei confronti di quel progetto, che ebbe in Franco Rodano il teorico di punta e le cui conseguenze furono devastanti in primis a livello culturale, che va sotto il nome di cattocomunismo. Il calcolo politico, se così lo si vuole definire, era molto più sofisticato e dal respiro lungo: stringere il principale partito antagonista in un abbraccio che politicamente, almeno queste erano le aspettative, avrebbe dovuto rivelarsi fatale per le sorti del comunismo italiano (e non solo). La parte in chiaro di questo disegno emerge nitidamente nel celebre discorso pronunciato da Moro all’assemblea Dc il 28 febbraio 1978, pochi giorni prima del massacro di via Fani. Dove il leader democristiano, prima rispedisce al mittente le critiche di chi paventava una possibile alleanza di governo col Pci ricordando senza mezzi termini che: a) “siamo stati unanimi in direzione… nel dire no ad una coalizione politica generale con il Partito comunista”, b) tale atteggiamento della Dc era “unanime e netto” e c) “un’intesa politica, che introduca il Partito comunista in piena solidarietà politica con noi, non la riteniamo possibile…”; per poi chiarire che ciò di cui si stava discutendo era solo e soltanto la possibilità di una “intesa di programma” ossia di un accordo su precisi punti e contenuti, per far fronte comune alla duplice emergenza, economica e politica, del momento. Certo, Moro era perfettamente consapevole che vi era un nodo, un punto critico relativo al “modo di come si lega la concordia sul programma con l’adesione al governo”; ma nella sua visione questo non comportava affatto come unica soluzione l’ingresso del Pci al governo. E in ogni caso prioritaria sulla forma era la sostanza cioè, appunto, un accordo, un’intesa sul programma “che risponda all’emergenza reale che è nella nostra società”. Sappiamo che la storia è andata diversamente da come la immaginava Moro. Ciò nondimeno, anche guardando alla situazione politica attuale, per certi aspetti simile pur nella ovvia diversità di contesto storico e sociale, forse il modo migliore per onorare la memoria di Moro è riprendere quel discorso allora brutalmente interrotto. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Luca Del Pozzo


   

Al direttore - Leggevo come ogni mattina il suo giornale e mi sono soffermato sull’articolo “Tra Salvini e Di Maio”. Un politico degli anni 80, nel 1984, definì il nostro paese una strana entità mista: “Un terzo Finlandia, cioè neutralità pulita, un terzo Vaticano cioè visione ecumenica delle grandi questioni nazionali e internazionali e un terzo Tangeri cioè mercato e affarismo spericolato”. Si sente parlare ogni giorno di formazioni messe in piedi per dare un governo al paese: purtroppo questi “aggregati” già in origine lasciano intravedere tentazioni trasformistiche. Non c’è accordo su nulla: non sulla scuola, non sulla previdenza, non sul lavoro, neanche sui temi chiave della riforma delle istituzioni. C’è disgregazione, spettacoli di lacerazione e di degradazione istituzionale: minimo comune denominatore è l’assenza di strategia e il compromesso. Ricordiamoci che lo sfascio della politica e di conseguenza della democrazia, è figlio della condotta che pretende di piegare il sistema istituzionale ai propri calcoli. Tocqueville diceva: “Le loro ambizioni sono talmente concentrate sul potere che solo al pensiero di lasciarlo sono presi da una sorta di orrore che impone loro di sacrificare l’avvenire al presente”. Dobbiamo far sì che nella nostra democrazia si ricostruiscano rapporti di lealtà, diversamente il nostro paese sarebbe aperto alle avventure di un qualunque “caudillo”.

Andrea Zirilli

  

Ennio Flaiano diceva che la situazione politica in Italia è sempre grave ma non è seria. Per anni in molti hanno però fatto finta che la situazione fosse seria ma non grave. E oggi ci ritroviamo naturalmente con quello che è stato seminato: leader non seri, trattati da statisti, pronti a dar vita a un governo non serio capace di fare cose molto gravi. Con un sorriso, di fronte al prossimo governo, Flaiano, non ottimista come noi, non avrebbe difficoltà a dire: coraggio, in fondo il meglio è passato.

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