Cosa vuol dire fare opposizione? Super Fico. FI morente ma vincente

Al direttore - L’Italia chiede che la transumanza sia patrimonio Unesco. Poi dice le ingerenze internazionali sulla nascita del governo.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Quanto dice Marcello Pera ieri è la pura descrizione dell’immobilismo di Forza Italia e del fatto che la stessa è parte integrale dell’ircocervo. La Lega è egemone nel centrodestra e tiene i reduci della rivoluzione liberale in scacco (quasi) matto. Ne escano con uno scatto d’orgoglio e ricostruiscano l’area moderata, liberale, riformista e di buonsenso che a questo paese continua a servire. Altrimenti non si lamentino dell’ircocervo di cui saranno braccia e gambe.

Gabriele Toccafondi

 

Nel 2011, Berlusconi fu cacciato dal governo per volere di Lady spread. Nel 2018, Berlusconi, attraverso il suo partito, potrebbe tornare a sostenere un esecutivo vestendo il ruolo di garante di un governo di protesta proprio di fronte ai mercati. Ci sarà da divertirsi.

 


 

Al direttore - Il presidente della Camera Fico ha una vocazione, né un partito, né un movimento, fonderà un nuovo ordine, potere al povero.

Giovanni Negri

 


 

Al direttore - Secondo me Carlo Calenda ha tutte le caratteristiche necessarie per rappresentare l’opposizione forte, dura e tosta sperata dal direttore e da tutti noi. E chissà se, quando i tempi saranno maturi, Calenda non possa anche diventare il “collante” per un nuovo grande “contenitore” politico per tutte le forze liberali e progressiste raccogliendo, per iniziare, i “cocci” di Forza Italia e del Partito democratico.

Stefano Fumiatti

C’è un 50 per cento di elettori rappresentato alla grande nei partiti focalizzati sulla protesta. C’è un altro 50 per cento di elettori che è – e sarà sempre di più – alla ricerca di un partito focalizzato sulle proposte. Calenda è uno dei nomi spendibili per questo progetto. Il punto vero è: può davvero essere il Pd il solo spazio in cui far maturare l’opposizione?

 


 

Al direttore - Difficile dirlo oggi. Ma in ogni ecaso niente male per un partito morente avere la Seconda carica dello stato e il presidente del Parlamento europeo. È proprio vero che il bipolarismo che si è affermato in Italia dopo le elezioni del 4 marzo è tra chi vuole una “società aperta” e chi una “società chiusa”? Molti commentatori si stanno affrettando a spiegare la vittoria di M5S e Lega come la vittoria della rabbia e del rancore verso la mondializzazione, la globalizzazione e l’Europa dei burocrati, cui invece sarebbero sottomesse tutte le altre forze politiche che sono state punite dagli elettori. Sicuramente c’è molto di vero, ma dubito che il bipolarismo che va a costituirsi sia di tale natura. Primo, perché dà per ovvia una collaborazione al governo tra M5S e Lega alla quale, per reazione, dovrebbe corrispondere una fusione in un’unica offerta politica di tutta un’area che va da Forza Italia al Pd, passando per tutto quel che rimane in mezzo. Secondo dubbio: i cosiddetti populisti non mi sembrano condividere un’idea di società chiusa. Se in questa categoria possono rientrare le invettive contro la moneta unica, i dazi sui prodotti commerciali e i muri innalzati per difendersi dagli immigrati che caratterizzano il programma di Salvini, trovo più difficile costringere a questa lettura semplicistica un fenomeno come quello dei grillini. Nel suo intervento pubblicato sul Washington Post del 20 marzo scorso, Davide Casaleggio spiega: «La democrazia diretta, resa possibile dalla Rete, ha dato una nuova centralità del cittadino nella società. Le organizzazioni politiche e sociali attuali saranno destrutturate, alcune sono destinate a scomparire. La democrazia rappresentativa, quella per delega, sta perdendo via via significato. E ciò è possibile grazie alla Rete». Casaleggio jr. contesta sostanzialmente la classica organizzazione politica e istituzionale gerarchica che la storia ha conosciuto fino ad oggi, a vantaggio di un sistema in cui ciascuno è un punto connesso ad un altro grazie alla Rete (rigorosamente con la maiuscola!). Da qui ne deriva un tema molto trattato dalla maggior parte dei commentatori, ovvero quello della disintermediazione. Ma c’è di più, ovvero un sovvertimento del concetto stesso di Stato. La Terza Repubblica dei cittadini, insomma, non è una mera espressione retorica usata da Di Maio. È una convinzione profonda che qualifica l’offerta politica dei 5S. Tuttavia vanno comprese le implicazioni di simile convinzione, per quanto suggestiva. «La piattaforma – prosegue Davide Casaleggio – che ha permesso il successo del MoVimento 5 Stelle si chiama Rousseau, dal nome del filosofo del XVIII secolo che sosteneva che la politica doveva riflettere la volontà generale del popolo. Ed è esattamente ciò che fa la nostra piattaforma: consente ai cittadini di partecipare alla vita politica». L’ambizione del M5S non è quella di eleggere parlamentari, né formare un governo. L’ambizione del M5S è quella di rendere superfluo tanto il Parlamento quanto il Governo. Seguendo il pensiero di Casaleggio, infatti, è Rousseau – intesa come piattaforma – che è chiamata a riflettere la volontà generale del popolo. Non il libero confrontarsi dei partiti attraverso gli strumenti della democrazia rappresentativa, non il loro concorrere che limita le brame totalizzanti degli uni e degli altri, ma la piattaforma gestita da una srl in cui «gli iscritti possono proporre leggi… usufruire di servizi di e-learning su percorsi di politica e pubblica amministrazione, possono proporre iniziative grazie al servizio call to action». Il “Vaffa” all’origine della fortuna dei grillini è stato inteso come un volgare insulto. È invece l’annuncio di una pretesa epocale: sostituire con la tecnologia la politica e le istituzioni per come le abbiamo conosciute sino ad ora. “La democrazia del click” l’ha chiamata qualcuno, non cogliendo la vera portata di tale espressione. Mentre i commentatori seguono le dinamiche parlamentari nell’attesa di capire eventuali intese in vista di un voto di fiducia ad un qualche nuovo esecutivo italiano, la cronaca registra dall’altra parte dell’Oceano lo scandalo dei dati gestiti da Cambridge Analytica, la società che si sarebbe impossessata di milioni di informazioni generate dagli utenti di Facebook al fine di studiare campagne mirate di propaganda elettorale e confezionare fake news ad hoc per orientare l’opinione pubblica ad un certo tipo di voto. Da tutta questa vicenda è emersa una parola che richiama i romanzi di George Orwell: psicografia. Si tratta della capacità di profilare gusti, orientamenti, inclinazioni di milioni di persone a partire anche solo da 170 “like” o condivisioni. È del tutto evidente che il problema non sono nemmeno le fake news, ma la capacità di creare algoritmi che – individuando le sottostanti ragioni neurologiche per cui un utente prova certe simpatie politiche piuttosto che altre – abbiano la pretesa di rendere superfluo pure il momento elettorale. Il tutto in nome della nobile idea di riflettere la volontà generale del popolo, sia ben inteso. Ma dalla democrazia del click alla dittatura dell’algoritmo il passo è assai breve. E allora il nuovo bipolarismo, forse, non è tanto tra i sostenitori della società aperta e quelli della società chiusa. Semmai la differenziazione tra un polo e l’altro passa dalla difesa delle prerogative della politica, del suo contenuto di mediazione e compromesso, come ambito di esercizio della libertà. Sempre sanzionabile e correggibile attraverso il voto e la partecipazione popolare, che si deve rinnovare nelle forme e nei contenuti ad ogni generazione.

Matteo Forte, consigliere comunale a Milano

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