Tre nuovi studi del Fmi mostrano l'insostenibilità delle promesse di M5s e Lega

Luciano Capone

Il Fondo monetario boccia le proposte fiscali in deficit (reddito di cittadinanza e flat tax) e difende riforma Fornero e Jobs Act

Roma. Passata la sbornia elettorale è ora di fare i conti con la realtà. Quella politica, che impone ai partiti vincitori di stringere accordi e fare compromessi per formare un governo, e quella economica con i suoi vincoli di bilancio contro cui si infrangono le promesse elettorali. Delle alchimie politiche e delle possibili alleanze se ne sta parlando molto e l’attuale instabilità al momento non desta preoccupazione, perché tutti sono convinti che alla fine la creatività italiana prevarrà e una formula politica per far nascere un governo verrà in qualche modo trovata.

 

Si discute meno dei vincoli economici e della compatibilità delle promesse elettorali, che sono poi le fondamenta della nuova maggioranza e della prossima legislatura: reddito di cittadinanza e abolizione del Jobs Act (M5s), flat tax e cancellazione della legge Fornero (Lega).

 

Proprio in questi giorni il Fondo monetario internazionale ha pubblicato tre studi sulle riforme necessarie per l’Italia. E i suggerimenti per risanare i conti e rilanciare la crescita vanno esattamente nella direzione opposta a quella indicata da Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Partiamo dall’abolizione della riforma Fornero, un punto su cui sono d’accordo sia il M5s e la Lega, che costerebbe secondo le stime del presidente dell’Inps Tito Boeri circa 20 miliardi l’anno e complessivamente tra gli 85 e 105 miliardi. Per il Fmi non solo la legge Fornero non deve essere smantellata, ma andrebbe potenziata. Nel working paper “Italy: toward a growth-friendly fiscal reform”, gli studiosi del fondo scrivono che la spesa previdenziale è uno dei principali problemi del paese. Nei passati due decenni, anche per sciagurate controriforme come l’abolizione da parte del centrosinistra dello “scalone” della riforma Maroni (quando la Lega faceva le riforme), la spesa pubblica è cresciuta velocemente, molto più di quanto potessimo permetterci. Con l’arrivo della crisi, il paese ha messo sotto controllo la spesa bloccando assunzioni e stipendi pubblici e tagliano la spesa per investimenti. Ma la spesa per pensioni, nonostante la riforma Fornero, ha continuato a crescere ed è circa il 16 per cento del pil, la più alta in Europa dopo la Grecia. L’Italia avrebbe bisogno di aumentare la spesa in istruzione, che è inferiore agli altri paesi sviluppati, e gli investimenti, che si sono ridotti del 28 per cento dal 2009 al 2016. E’ qui, insieme alla riduzione delle tasse, che dovrebbero essere concentrate le risorse, non bruciando decine di miliardi in deficit sull’altare delle pensioni, anche perché, in questo periodo di moderata crescita, l’Italia non dovrebbe aumentare il disavanzo pubblico ma raggiungere il pareggio di bilancio per far scendere il debito monstre che supera il 130 per cento del pil. Il Fmi segnala che non solo non ci sono soldi per cancellare al riforma Fornero, ma che servono ulteriori interventi per recuperare risorse da sacche di eccessiva “generosità” del sistema previdenziale – assegni elevati senza contributi corrispondenti, pensioni di reversibilità più alte d’Europa – perché le proiezioni sulla sostenibilità delle pensioni si basano su proiezioni ottimistiche: un tasso di disoccupazione che dovrebbe scendere a livelli bassissimi e una crescita superiore a quella dei decenni precedenti.

 

Passiamo alle due proposte fiscali di M5s e Lega: reddito di cittadinanza e flat tax, due provvedimenti che entrambi i partiti propongono di finanziare in deficit. Il Fmi nel working paper “Italy: quantifying the benefits of a comprehensive reform package” suggerisce invece un pacchetto di riforme per la crescita che prevede un consolidamento fiscale del 2 per cento del pil in quattro anni (all’interno del quale è previsto un spostamento di spesa e tasse per favorire la crescita), una riforma della contrattazione, una riforma del mercato del lavoro che favorisca la partecipazione, liberalizzazioni in settori come ferrovie, trasporti e professioni, una riforma più incisiva della pubblica amministrazione e una del settore bancario che aiuti gli istituti a ripulirsi dalla montagna di Npl.

 

Sul Jobs Act, che il M5s vuole abolire, il Fmi scrive che è stata una “importante riforma” e i suoi principi andrebbero estesi al settore pubblico. Nel working paper “Competitiveness and wage bargaining reform in Italy”, in cui viene proposta una riforma della contrattazione collettiva passando dal livello nazionale a quello aziendale per rilanciare la produttività, gli economisti del fondo non solo difendono gli elementi di flessibilità introdotti dal Jobs Act, ma suggeriscono di completare la riforma con l’introduzione di un salario minimo proprio per agevolare la contrattazione a livello di azienda.

 

Niente cancellazione della riforma Fornero, niente spesa in deficit per reddito di cittadinanza o flat tax, niente abolizione del Jobs Act. Nei giorni scorsi Lorenzo Fioramonti, neodeputato e ministro dello Sviluppo economico in pectore del governo di Maio, ha scritto sul Financial Times che il M5s vuole ridurre il debito pubblico “in linea con le raccomandazioni del Fmi”. Se ha letto quelle raccomandazioni, dovrà spiegare agli elettori che il programma del M5s è rinunciare al proprio programma.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali