Dell'Utri e la giustizia killer. Barbagallo insiste. Il Foglio e le fake news

Al direttore - Questa è la volta buona per i russi, con Di Maio premier il capitalismo stavolta lo stendono davvero.

Giuseppe De Filippi

Al direttore - Leggo che il tribunale di Palermo avrebbe negato a Marcello Dell’Utri la possibilità di curare il tumore e la cardiopatia che lo affliggono fuori dal carcere, potendo così fruire di cure adeguate. Ora, io non contesto il merito della sentenza definitiva che lo ha condannato a sette anni di carcere, anche se sono tra i tanti che alla contiguità o, addirittura, complicità tra il mondo berlusconiano e la mafia non hanno mai creduto. E non nascondo che avendo conosciuto e frequentato Marcello nel corso degli anni 90 e ricordandone non solo le qualità di formidabile organizzatore di cultura, ma anche la sensibilità personale, sono influenzato da una sorta di pregiudizio positivo. Tuttavia mi chiedo, per quale ragione al mondo, un uomo di 76 anni, che ha scontato metà della pena, afflitto da patologie molto serie, non possa fruire di cure ospedaliere e degli arresti domiciliari? Se ricordo bene il Marcello che ho conosciuto, rifiuterà davvero cibo e cure in carcere. Come li definisce la Corte di giustizia europea? Trattamenti inumani e degradanti. Appunto. Con amicizia.

Sergio Scalpelli

 

La giustizia può essere giusta o ingiusta. Con Dell’Utri è stata qualcosa di più: una giustizia ingiusta e killer.

 

Al direttore - Non tutte le telefonate hanno il medesimo destino. Alla fine del 1953 il Pignone, storica fabbrica metalmeccanica fiorentina, stava per chiudere. Duemila lavoratori rischiavano il posto. Il sindaco Giorgio La Pira chiese a Enrico Mattei di acquistare l’azienda. Per convincere l’onnipotente presidente dell’Eni, La Pira tirò in ballo persino la sponsorizzazione della Madonna, che gli era apparsa in sogno per suggerirgli quella telefonata (come si seppe in seguito, l’idea era venuta, invece, ad Amintore Fanfani). La conversazione, alla fine, ebbe buon esito: il 9 gennaio 1954 l’Eni concluse l’accordo di acquisizione, che andò ad arricchire l’aura di santità di La Pira. Tanti anni dopo una giovane deputata aretina, preoccupata per la crisi di un istituto di credito radicato nel territorio in cui viene eletta, è sotto accusa per aver chiesto (incassando un cortese no) a un autorevole banchiere se fosse eventualmente interessato a un’operazione di salvataggio. Certo, la deputata ha commesso un errore: quello di negare – parlando in Aula – di aver intrapreso delle iniziative in merito alla nota vicenda; come se fosse una colpa da nascondere l’esercizio diligente delle funzioni attinenti al proprio ruolo di parlamentare; soprattutto se non si è chiesta e ottenuta, preventivamente, la “bollinatura’’ dell’Anac, il Grande fratello dell’etica pubblica.

Giuliano Cazzola

 

Al direttore - Vorrei esprimere alcune considerazioni sull’articolo a firma di Luciano Capone, pubblicato sul suo giornale lo scorso 5 dicembre. Che la riforma Fornero avrebbe generato un enorme disagio sociale fu evidente sin dal momento del suo varo: la ministra pianse sapendo quanti avrebbe fatto piangere. La Uil, oggi, non fa altro che registrare la fondatezza di quel dolore. Il provvedimento rispondeva ad alcune logiche e ad alcuni interessi che non abbiamo condiviso. Che la nostra contrarietà dia fastidio è comprensibile, ma anche questa è una prova della bontà della nostra azione sindacale. Peraltro, coerenti con la tradizione riformista, non abbiamo chiesto l’abolizione della legge, ma una sua decisa modifica. Infine, che io non sia un intellettuale è notorio: ho iniziato a lavorare a 8 anni, ho conosciuto la fatica del lavoro, mi piace ancora lavorare e mi piace stare in mezzo ai lavoratori. Ma che io possa essere considerato un pericoloso terrorista o un redivivo brigatista è indubbiamente ridicolo: semmai, le minacce le ho ricevute e mai fatte. La mia storia personale e quella della Uil parlano da sole; così come da soli parlano l’impegno del Sindacato e il tributo di sangue pagato per sconfiggere il terrorismo. Le pesanti reazioni alla nostra trasparente posizione, dunque, sono l’ennesima conferma che stiamo facendo una buona battaglia.

Carmelo Barbagallo

segretario generale Uil

 

Risponde Luciano Capone. “Ciò che infastidisce e dovrebbe infastidire tutti non è la contrarietà alla legge Fornero, del tutto legittima, ma le parole usate per criticarla. Era quello il punto dell’articolo, che in questa replica non viene minimamente affrontato. Barbagallo ha dichiarato che ‘Monti, Fornero e Boeri rispondono agli interessi delle multinazionali internazionali, è meglio che se ne vadano all’estero a lavorare’. L’articolo non sosteneva che Barbagallo è un terrorista, ma che quello è il linguaggio usato durante le stagioni della violenza politica, che tanto sangue hanno sparso in Italia soprattutto tra chi si è impegnato nelle riforme. E il riferimento alle capacità linguistiche di Barbagallo non era un’offesa ma un’attenuante, pensavamo che quelle parole così gravi gli fossero sfuggite. Evidentemente ci siamo sbagliati. Il segretario generale della Uil non solo non si scusa per aver indicato tre persone come nemici della patria e per averli invitate all’esilio, ma addirittura rivendica quella pesante accusa come parte di una ‘buona battaglia’. Alcune delle persone attaccate da Barbagallo sono da tempo seriamente minacciate, molto più di lui. Il capo della Uil poteva dire davvero poche cose più gravi di quella frase, la sua replica è una di queste”.

 

Al direttore - Con riferimento all’editorialino pubblicato sul Foglio del 7 dicembre, dal significativo titolo “Oltre l’inquisizione bancaria”, condivido le osservazioni sulla divaricazione riguardante il differente modo in cui le banche italiane sono trattate rispettivamente in Italia e in Europa. Tuttavia, non andrebbe sottovalutato che, nella vicenda della contestazione dell’“Addendum” sui crediti deteriorati emanato dalla Vigilanza unica, sottoposto a una consultazione pubblica che scade l’8 dicembre, la reazione negativa dell’Europarlamento e del Consiglio, con solidi pareri dei rispettivi Servizi giuridici, è stata dovuta, innanzitutto, alla giusta difesa delle relative prerogative, dal momento che la scelta della Vigilanza, con quelle disposizioni, al di là di una valutazione di merito, risulta chiaramente avere invaso il campo proprio della legislazione che a essa non compete. Quanto all’inquisizione, c’è da rimanere stupiti nel constatare l’ammissione alle audizioni, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta, di banchieri coinvolti nei casi di dissesto, indagati per specifici reati dall’Autorità giudiziaria, i quali, semmai, secondo il recondito pensiero di qualcuno, potrebbero o dovrebbero trasformarsi in “public prosecutors”. La Commissione, che non potrebbe ascoltare i suddetti come “auditi” perché indagati in un procedimento penale connesso, ma dovrà sentirli come testimoni (e, forse, assistiti da un avvocato, come accade nelle aule di giustizia), si trasforma così, forse inconsapevolmente, in una sorta di parallelo grado della giurisdizione. I miracoli della trasformazione e del travestimento che può operare la prossimità della campagna elettorale. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 

Al direttore - Ho letto sul Fatto che nel 2016 il Foglio ha registrato perdite importanti. E’ così?

Luca Baroni

 

Totally fake news. La società che edita il Foglio quotidiano, la nostra cooperativa, ha chiuso l’esercizio 2016 in utile e non già in perdita per milioni e milioni di euro come riportato dal Fatto. E quest’anno le cose sono andate ancora meglio. Costi diminuiti, ricavi aumentati, abbonamenti cresciuti, vendite in edicola migliorate. Sarebbe bastato un semplice accesso alla camera di commercio e leggere il bilancio del “Foglio Quotidiano Coop” per non scrivere cose fuori dal mondo. Un bacio.

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