Un giro a Bruxelles per capire che aria tira sull'Italia (e i populisti)

Al direttore - Caro Cerasa, ho letto le sue interviste da Parigi e le vorrei chiedere se secondo lei in Francia esiste davvero una preoccupazione rispetto alle prossime elezioni politiche? I ministri che ha incontrato hanno espresso timori per l’alto tasso di anti europeismo presente nella nostra campagna elettorale?

Marco Trombetti

 

In verità, non molta. Tutti gli interlocutori incontrati hanno mostrato fiducia sull’Italia e un disinteresse pressoché totale rispetto ai partiti anti sistema, forti probabilmente della convinzione che le possibilità che un partito populista governi il nostro paese sono vicine pressoché allo zero. Nel corso della giornata di ieri ho passato qualche minuto a Bruxelles in compagnia di un famoso europarlamentare francese. Si chiama Alain Lamassoure, è un esperto e battagliero eurodeputato francese, è stato ministro ai tempi di Chirac (governo Juppé), è stato ministro ai tempi di Mitterrand (governo Balladur), è stato una vita con i repubblicani e ora, dopo la vittoria di Macron, si è messo in cammino verso nuovi orizzonti politici, diciamo così. Lamassoure a Bruxelles – differenze con Parigi in questo momento: in Francia si sogna, si costruisce il futuro, si gioca con i colori della politica e si coccola una nuova classe dirigente, a Bruxelles si fotografa il presente, si cerca un sogno che non si trova, ci si deprime con il grigiore della monotonia parlamentare e ci si rende conto che l’unico personaggio capace davvero di incarnare il progetto di una nuova Europa è un altro banchiere (dalle banche viene anche Macron) di nome Mario Draghi – ha parlato di molte cose. Prima ha detto che “con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea la Germania e l’Italia sono alla ricerca di una terza gamba dell’Europa e l’Italia dovrebbe capire che ha il dovere di essere quella gamba che ci manca”. Poi ha spiegato quello che pensa della situazione italiana e in particolare delle forze anti sistema. Domanda: è o non è il Movimento 5 stelle una minaccia per la stabilità politica dell’Unione europea? Risposta: “Il movimento è certamente un partito protestatario, anti europeista, demagogo, senza vocazione al governo e nel caso in cui dovesse arrivare al potere sarebbe un handicap in un quadro in cui l’Unione europea sta provando a compiere passi in avanti. Ma a mio parere Beppe Grillo è una minaccia per l’Italia non per l’Europa. L’Europa è più forte dei populisti e pensando all’Italia oggi ricordo cosa si diceva un anno fa della Francia: chissà cosa potrebbe succedere se vincesse Le Pen… Non è successo e credo che alla fine il progetto Europeo in tutti i paesi riuscirà a essere più forte di chi sogna di metterlo in discussione. Se c’è però un punto che mi preoccupa più degli altri quel punto è il messaggio di cui i partiti populisti sono portatori: l’odio. E anche in Italia purtroppo temo che la politica dell’odio sarà al centro della campagna elettorale”. Al momento, la rassicurante lettera inviata via blog da Luigi Di Maio al presidente francese Emmanuel Macron – noi siamo belli, carini e anti populisti – diciamo che non sembra avere avuto gli effetti sperati. Populisti, anti europeisti, demagoghi. E a naso questa sembra non essere esattamente una fake news.

 


 

Al direttore - La risposta data da Massimo Mucchetti ai rilievi critici rivolti alla “web tax” da lui proposta è particolarmente efficace e risulta ( per me ) convincente. In ogni caso, le argomentazioni giuridiche, economiche e di buon senso svolte da Mucchetti richiederebbero, se ve ne sono, repliche dello stesso livello, non ulteriori, ingiustificabili valutazioni “ex cathedra” che stonano non poco. Ma la questione che sollevo è un po’ diversa: Margrethe Vestager, commissaria Ue alla Concorrenza, ha dichiarato di condividere l’introduzione di una “web tax”, ma di ritenere preferibile la sua adozione a livello europeo. E’ già una risposta a chi nega il fondamento e l’opportunità di una tale tassa. Ed è sperabile che non riceva, anch’ella, rimbrotti “ex professo”. Tuttavia, in questo come in altri casi, si finisce con l’essere di fronte al dilemma se procedere autonomamente con la legislazione nazionale o attendere che si raggiungano le convergenze necessarie per un intervento comunitario e, prima ancora, per un qualche ruolo da svolgere in materia da parte dell’Ocse. Vedo, certamente, migliore la via europea; ma se questa si spostasse nel futuribile, si potrebbe restare inerti? Meglio meno, ma meglio, si sarebbe detto una volta. Del resto, i termini di applicazione della tassa in questione consentono quel lasso di tempo nel quale potrebbero venire giuste indicazioni della determinazione in campo europeo a procedere per l’introduzione di questa tassa che spero non diventi la tassa della discordia. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

 


 

Al direttore - Le fake news sono sempre esistite, e non mi sembra una buona idea imporre per legge le ragioni della verità violata. I media tradizionali, di cui gli anni centrali del Novecento hanno segnato il trionfo, comportavano un tipo di comunicazione unidirezionale: dal vertice alla base. L’unica differenza rispetto al passato riguardava l’ampiezza dell’uditorio. Gorgia parlava a una trentina di greci, Hitler a milioni di tedeschi. Con la rete la comunicazione diventa invece multidirezionale: la base può perfino governare e controllare il messaggio. Di qui la comparsa di nuove figure sociali: l’hacker e il “chiunque”, come l’ha chiamato Alain Badiou, ossia il cittadino del web senza identità e senza volto. Dunque ha ragione il partito dell’internet bugiardo? In realtà no. Certo, la lotta politica condotta a suon di fandonie sul suo palcoscenico è avvantaggiata da tre fattori: la possibilità dell’anonimato; la possibilità di raggiungere rapidamente un vastissimo numero di persone: il fenomeno delle “cascate” informative (la bufala che diventa virale). Siamo quindi ben lontani da quella “cyberdemocracy” immaginata da Nicholas Negroponte e Gianroberto Casaleggio. Come si può sconfiggere, allora, la facile menzogna dei professionisti del clic? Chi è favorevole a provvedimenti restrittivi della libertà di comunicazione, con il nobile scopo di arginare il falso, dovrebbe sapere che di fatto finiscono col mettere a tacere anche il vero. E’ il meccanismo che Cass Sunstein ha definito “chilling effect”, effetto gelante. Come sostiene la filosofa Franca D’Agostini in un aureo volumetto (“Menzogna”), si può invece adottare il vecchio principio del “lasciar crescere la gramigna” perché con essa cresca anche il grano. La verità infatti non ha da temere nulla dalla diffusione della menzogna, visto che quest’ultima ha comunque bisogno di lei per vivere e prosperare. Lo spiega molto bene la tradizione, descrivendo il mentitore prigioniero dei suoi inganni. Se infatti ci sono molti modi di mentire, mentre la verità è una sola, ciascuno di quei modi contiene in sé il vero che può distruggerlo dall’interno. Ed è quanto normalmente dovrebbe fare uno spirito critico ben allenato, a patto che “abbia voglia e tempo di mettere a tacere quelli che sono in definitiva le sue scimmie, o i suoi giullari: i mentitori” (D’Agostini). Già, uno spirito critico ben allenato: ma da chi, ministra Fedeli?

Michele Magno

 


 

Al direttore - Anche l’Ocse ha rilanciato la grande occasione che ha davanti il nostro Paese: “Il turn over dovuto al pensionamento di una quota importante di dipendenti pubblici nel prossimo futuro è una opportunità di ristrutturare la Pubblica amministrazione”. Di cosa si tratta? Circa 450 mila addetti nei prossimi 5 anni, in applicazione della legge Fornero, lasceranno il posto di lavoro. Come gestire questa occasione? E’ opportuno governare questo processo a) raccogliendo i fabbisogni delle singole amministrazioni b) individuando le carenze qualitative strutturali dei lavoratori oggi in servizio (pochi laureati, poche donne, pochi informatici, pochi tecnici, ecc.); c) analizzando quali sono le domande che pongono i “clienti” della Pa (imprese e cittadini). Fatti questi passi si avrà un quadro completo dei profili professionali da assumere. Come selezionarli? Seguendo un metodo che garantisca allo stesso tempo trasparenza e omogeneità senza ingolfare gli uffici con concorsi monstre. Preoccupandoci con i concorsi di assumere non solo i più studiosi ma anche i più bravi o i più adatti a ricoprire i posti messi a bando, prendendo spunto da quanto fanno altri paesi. L’insieme di queste azioni è in via di definizione perché la riforma Madia, ha previsto tutto questo ed ora si tratta di attuarlo. Manca un pezzo: e cioè la possibilità che queste assunzioni siano fatte in tempi rapidi, anche anticipando l’utilizzo delle facoltà assunzionali per fare in modo che i nuovi assunti facciano formazione on the job e possano contare sul trasferimento di competenze di chi lascia. Tempo fa ebbi modo di dire che c’era bisogno di un “progetto paese” che arricchisse la Pa di nuovi talenti e nuove energie da mettere al servizio della nostra comunità e delle nostre istituzioni. Gli effetti operativi sarebbero importanti: avremmo in un colpo solo un profondo rinnovamento nella Pa, un miglioramento delle condizioni di contesto lavorativo, avremmo una maggiore capacità di implementare i servizi digitali, un aumento della produttività delle amministrazioni pubbliche, porteremo la nostra Pa alla media Ocse per numero di laureati. Insomma una Pa ristrutturata nel profondo, digitale, moderna e giovane (senza intaccare i saldi a regime).

Angelo Rughetti, sottosegretarioalla Pubblica amministrazione

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