Perché il governo deve chiedere la fiducia sulla legge elettorale. Appunto su Battisti

Al direttore – Mattarella: “La toga non è un abito da scena”. Travaglio: “Giù le mani da Ben Hur”.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - La legge elettorale entra nella fase finale: i parlamentari sono chiamati ad affrontare 40, votazioni segrete per vararla definitivamente. Auguriamoci un esito positivo, però mi viene in mente Monaco 1938, cioè quegli accordi che illusero  le democrazie europee sulle prospettive di pace e invece spianarono la strada alla follia hitleriana tanto da costringere Winston Churchill a commentare: “Inghilterra e Francia potevano scegliere tra il disonore e la pace. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra”. Senza azzardare paragoni, possiamo  sperare che il monito dello statista inglese risuoni in Aula. Conoscendo alcune difficoltà in storia, geografia e italiano di alcuni giovani deputati, va bene pure se si ricordassero della legge di Murphy.

Valerio Gironi

 

Per evitare che la legge elettorale faccia una brutta fine, c’è solo un modo e sarebbe bene che il governo avesse il coraggio di osare: sfidare il partito dell’anti tutto e mettere la fiducia. Si può fare. Forse si deve fare.

 

Al direttore - La foto di Cesare Battisti che  alza il bicchiere e saluta i giornalisti all’aeroporto con un ghigno beffardo, è solo l’ultima offesa non solo ai morti per i quali Battisti è stato condannato a due ergastoli, ma anche ai loro cari che ancora attendono che la giustizia faccia il suo corso.  Il punto qui non è, ovviamente, il diritto di ciascuno a rifarsi una vita dopo aver saldato i  conti con la giustizia. Ma il fatto che Battisti i conti con la giustizia non li abbia mai fatti. E come se non bastasse  a rendere ancor più insopportabile  una vicenda già assurda di suo, l’atteggiamento di certa intellighenzia da bar dello sport, in Francia ma anche qui da noi, che in nome di una lettura a dir poco strabica e ideologica della storia recente ha fatto di un terrorista pluriomicida quasi un martire laico. Meno male che c’è gente, come Luciano Violante, che ha il coraggio di dire le cose come stanno: “C’è una parte della tradizione francese,  un certo bovarismo, secondo la quale tutto ciò che appare frutto della libertà e dell’antagonismo va giustificato. Non è così. E se avessero vinto i terroristi non so se avrebbero avuto lo stesso tipo di atteggiamento nei  nostri confronti”.  Per poi aggiungere: “Non ho mai derogato al principio per cui chi spara su un cittadino inerme, con o senza l’alibi dell’ideologia, va punito senza equivoci” (Corriere della Sera).  Per gente come Battisti, rossi o neri che siano, delle due l’una: o si trova un modo per estradarli, oppure la  soluzione si chiama Wiesenthal. Un Wiesenthal italiano che scovi e riporti in Italia tutti quelli che hanno un conto da saldare. Perché non c’è nessuna  differenza tra uccidere civili  inermi in tempo di pace e, per esempio, rastrellare e uccidere prigionieri in tempo di guerra. Avessimo un sussulto di dignità, sarebbe forse il modo migliore, anche a quattro decenni di distanza, per onorare  per chi c’era e oggi non c’è più, e per chi è rimasto e ancora non si rassegna. 

Luca Del Pozzo

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