La guerra alle immagini dovremmo lasciarla solo ai fondamentalisti

Al direttore - Dopo aver letto, nell’articolo “Isteria americana” di Giulio Meotti, che negli Usa è diventata politicamente corretta l’iconoclastia della propria storia, ho capito perché ha vinto Donald Trump.


Giuliano Cazzola



Meotti perfetto. E dovrebbe essere chiaro che, in un’epoca come la nostra in cui esiste uno Stato islamico che predica l’iconoclastia nelle forme più violente del mondo, la lotta contro il culto delle immagini dovremmo lasciarla solo ai fondamentalisti. E dovremmo ricordarcelo sempre. Senza dimenticarci che l’iconoclastia, alle sue estreme conseguenze, può portare a drammi come quelli registrati esattamente due anni fa a Palmira. Dove Khaled Asaad, il grande archeologo del sito siriano, venne ucciso brutalmente dallo Stato islamico proprio perché considerato dagli islamisti il simbolo della difesa di un mondo libero, e dunque blasfemo, dove le opere d’arte possono anche raffigurare il volto di una divinità.

 


 

Al direttore - I vertici del Tribunale di Milano e Palazzo Marino giocano a scaricabarile in relazione agli appalti senza gara pubblica di Expo. Da corso di Porta Vittoria dicono che la stazione appaltante era il Comune da dove replicano che si agì seguendo le indicazioni degli uffici giudiziari. Tutto normale? No perché l’indagine aperta dopo articoli di stampa e un rapporto dell’Anac di Cantone è coordinata dalla procura di Milano. Il fascicolo dovrebbe approdare sui tavoli dei pm di Brescia ma non si muove da Milano dove risultano tra l’altro zero accertamenti. Recentemente un altro spezzone di Expo era stato mandato a Brescia e restituito dopo otto mesi a Milano con la motivazione: le eventuali iscrizioni tra gli indagati di magistrati dovete farle voi prima di investire noi della questione. Insomma, scaricabarile numero due. E con ogni probabilità un modo elegante di insabbiare una vicenda dove la moratoria delle indagini su Expo è da tempo un fatto storicamente acclarato. La magistratura è veramente indipendente. Dalla legge.


Frank Cimini



 


 

Al direttore - La retorica di un’Europa impavida che oppone al terrorismo la volontà di non mutare comunque il proprio stile di vita è davvero insulsa. Accade infatti di registrare anche quanto avvenuto domenica scorsa a Budapest durante i Mondiali di nuoto: prima della gara dei duecento metri rana, lo spagnolo Fernando Alvarez aveva chiesto un minuto di silenzio per ricordare le vittime di Barcellona ma il comitato organizzatore gli ha opposto che non c’era tempo e non si poteva perdere nemmeno un minuto. A questo punto il nuotatore spagnolo il tempo ha deciso di prenderselo da solo ed è restato sul blocco di partenza mentre tutti si tuffavano in acqua. “Certe cose – ha detto – valgono più di qualsiasi medaglia d’oro”: un modo per ribadire come spesso proprio le democrazie esigono aristocrazia. 


Luigi Compagna 



 


 

Al direttore - Dopo ogni attentato, leggiamo in Italia di piani di prefetture e questure per limitare i rischi. Tante belle parole ma a Roma, nella strada che porta alla basilica di San Pietro (obiettivo conclamato del terrorismo) si consente ancora che stazionino giorno e notte decine di furgoni (che non pagheranno neppure il parcheggio) privi di qualsiasi controllo. Sono quelli dei venditori ambulanti che, peraltro, deturpano una delle strade più eleganti della Capitale.

Francesco Sestelli



 


 

Al direttore - Egregio signor Milani, le confesso di leggere per primo la Sua spassosa lettera, come una volta i corsivi di Fortebraccio. Le segnalo però una grave inesattezza. A Como abbiamo la funicolare, non la funivia. Non siamo a Bormio. Distinti ossequi.


Marco Antonio Brenna

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