Attenti a non disturbare Mauro Corona

Al direttore - Mauro Corona scrive libri bellissimi, è un bravo scrittore, non intendo disturbarlo.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - In un Paese che troppo spesso si accusa di essere bloccato, c’è una riforma che, lontano dai riflettori, sta cambiando l’amministrazione e il governo dei territori. E’ la riforma delle Province, la cosiddetta Legge Delrio, che ha assegnato ai sindaci il compito di portare a termine una vera e propria rivoluzione: di amministrare insieme i territori, superando campanili e appartenenze partitiche, condividendo le decisioni sulle priorità, gli interventi, il migliore utilizzo delle scarsissime risorse, per il bene delle comunità. E’ stato, ed è tuttora, un percorso difficile, perché questa Legge ha rimesso in gioco tutto il modello di amministrazione locale, e non ha interessato solo le province, ma le regioni, i comuni e lo stato centrale. Non si è trattato solo di dare un segnale sulla riduzione dei costi della politica, che pure serviva, ma di ricostruire, semplificandolo e rendendolo più efficiente, l’intero processo di governo dei territori. Una legge che, nonostante la transitorietà che gli si è voluta assegnare nel racconto politico, non è di passaggio, dunque, ma di sistema. Occorre guardare avanti: con il referendum ormai passato, l’incertezza su quale sarebbe stato il futuro dell’amministrazione dell’area vasta è superata, ed è arrivato il tempo di trovare la determinazione necessaria per dare a queste Province, che sono nuove e riformate, tutti gli strumenti necessari per portare a termine il compito che la Costituzione e le leggi assegnano loro. A cominciare dalla prossima Legge di Bilancio, attraverso cui bisognerà normalizzare la situazione finanziaria e stabilire in maniera chiara come finanziare adeguatamente i servizi essenziali che queste erogano, in modo che siano garantiti in tutto il Paese. Ma si dovrà anche pensare a come costruire intorno a queste istituzioni riformate, da anni non più i carrozzoni che vengono descritti, un sistema efficiente di gestione amministrativa dei territori. Attuare, cioè, l’unica parte della riforma Delrio che è rimasta ferma, quella che impone la semplificazione, cancella posti di potere non controllati, produce risparmio concreto senza toccare servizi. Si tratta della possibilità data alle regioni di cancellare tutta quella miriade di enti e consorzi che amministrano al posto delle istituzioni, e spostare le competenze in capo alle Province. Penso agli 87 Ato rifiuti, ai 69 Ato Acqua, alle 48 autorità di bacino, agli almeno 150 Consorzi di bonifica, agli oltre 3000 consorzi e partecipate. Questo sarebbe davvero un segnale di straordinaria maturità della politica, e, molto concretamente, lo strumento più immediato per fare quella revisione della spesa pubblica di cui ormai è ben chiaro a tutti l’urgenza. Un tema su cui sarebbe utile concentrare energie riformiste.

Achille Variati
Sindaco di Vicenza e Presidente Unione Province d’Italia

 

Al direttore - Leggo che alla fine alcune Ong hanno scelto di non firmare il codice di autogoverno voluto dal Viminale. Leggo che addirittura, e provo imbarazzo per questo da italiano, che Medici senza frontiere non ha firmato il codice perché, sostiene, “in nessun Paese in cui lavoriamo accettiamo la presenza di armi, ad esempio nei nostri ospedali”. Dunque, continueremo ad avere immigrazione non controllata e Ong non controllate che alimentano l'immigrazione?

Marco Rareti

 

Il codice di condotta per le Ong era effettivamente un passaggio importante per ricominciare a gestire l'immigrazione in modo umanitario, certo, ma senza più subirla, e soprattutto governando il fenomeno. Il codice prevedeva e prevede alcuni passaggi importanti.  Assoluto divieto per le navi umanitarie di entrare in acque libiche. Possibilità di raggiungere le acque libiche solo in presenza di “un evidente pericolo per la vita umana in mare". Vincolo a “non telefonare o mandare segnali luminosi per facilitare la partenza e l'imbarco di mezzi che trasportano migranti, per non facilitare i contatti con i trafficanti". E soprattutto “obbligo ad accogliere a bordo ufficiali di polizia giudiziaria per indagini collegate al traffico di esseri umani”. Tra le ong hanno sottoscritto il documento Moas e Save the Children. Le altre non hanno accettato il documento. Ieri il Viminale ha detto che “l’aver rifiutato l’accettazione e la firma pone quelle organizzazioni non governative fuori dal sistema organizzato per il salvataggio in mare, con tutte le conseguenze del caso concreto che potranno determinarsi a partire dalla sicurezza delle imbarcazioni stesse. In una condizione diversa, saranno invece parte integrante le ong che hanno sottoscritto il Codice”. Questa affermazione può voler dire molte cose. Noi ci auguriamo che ne voglia dire soltanto una: alle Ong che non accettano di avere personale di polizia giudiziaria sulle loro navi non può che essere vietato l'ingresso nei porti del nostro paese. Parlando con questo giornale, due settimane fa, il ministro Minniti è stato chiaro. Vale la pena riportare le sue parole: “Le ong considerano prioritario salvare persone in mare non garantire la sicurezza nazionale del paese che andrà ad accogliere quei migranti. Nel momento in cui operano numerose navi civili un paese serio prende tutte le misure per coniugare la salvezza della vita con le esigenze della propria sicurezza e con l'indefettibile obiettivo di combattere i trafficanti di esseri umani”. La lotta contro l'estremismo umanitario e giusta. E il rispetto del codice sulle ong sarà un passaggio importante per misurare gli attributi dell'Italia.

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