La Raggi è il Mov. 5 stelle. La scissione? Meglio della malattia

Al direttore - Chi prende la mucca?

Giuseppe De Filippi

  

Al direttore - Non leggono le mail o non le capiscono, si fanno registrare al bar, si fanno sbugiardare da un banale sms. Vero è che anche con i congiuntivi non scherzano, ma per essere un Movimento che ha nella rete e nella tecnologia la propria linfa vitale, le cinque stelle le meritano per la propensione all’autosputtanamento.

Valerio Gironi

 

Roma, si Rocco Casalino licet, sta diventando il grande fratello del Movimento 5 stelle. Anche se lo streaming è scomparso, tutto è in mostra, tutto si vede chiaramente. Da un lato la cultura di governo, che coincide con l’immobilismo assoluto (salvo quando l’immobilismo diventa così impopolare che gli algoritmi ti consigliano di non metterti contro anche Francesco Totti). Dall’altro la cultura dell’autoritarismo digitale, che attraverso l’imbroglio della democrazia diretta ha trasformato un sindaco che doveva essere “portavoce del popolo” in una oscura figura imbambolata, commissariata da un blogger ed eterodiretta da un’azienda privata. Attraverso Raggi abbiamo visto il vuoto assoluto del Movimento 5 stelle e quando il vuoto arriva al governo non può che circondarsi di figurine alla sua altezza. Il caso Berdini – che per dimettersi ha aspettato di avere una scusa politica, lo stadio, giusto per provare a far dimenticare il modo garbato con cui ha tentato di usare un giornalista della Stampa per alimentare “la guerra tra bande” (citazione Muraro) che si combatte nella giunta di cui faceva parte – dovrebbe aiutarci ad aprire gli occhi: il disastro della giunta Raggi non è un caso isolato all’interno di un panorama altrimenti rivoluzionario; il caso Raggi è il simbolo del nulla prodotto dal 5 stelle, e prima o poi anche i giornali sottomessi al grillismo dovranno farci i conti.

 

Al direttore - In un’epoca come la nostra in cui ci sposa sempre meno e, quando succede, ci si separa sempre più spesso, arrivare al traguardo delle nozze d’argento è sempre una notizia. Quest’anno c’è riuscita una delle coppie più longeve e in forma d’Italia, il cui felice (per loro, s’intende) connubio non sembra mostrare ombra di crisi. Correva l’anno 1992 quando scoccò la fatidica scintilla che avrebbe cambiato per sempre la loro (e altrui, soprattutto) storia. Il matrimonio che ne seguì tra Certa Magistratura e Certo Giornalismo fu un fulgido esempio di fedeltà, dedizione, altruismo e sacrificio di sè in nome del Bene Supremo, la cui eredità fu poi raccolta da una progenie di magistrati e giornalisti sì numerosa da fare invidia a un esercito di conigli. La cosa strana, è che nonostante il popolo italiano sia stato baciato da cotanta fortuna, sembra quasi che dopo un quarto di secolo di purghe e di gogne, di gente che s’è suicidata e di gente irrimediabilmente sfigurata nell’onore perchè ingiustamente condannata sui giornali prima ancora di essere processata, l’Italia non pare poi essere un posto così migliore dove vivere rispetto a prima. Cosa resta allora? Solo due date, 1992-2017, i peggiori anni della nostra vita.

Luca Del Pozzo

 

Al direttore - Leggo che nel Pd non ci sono solo almeno undici correnti renziane e antirenziane, una minoranza antirenziana dialogante e una minoranza antirenziana intransigente, ma che nella Direzione si è manifestato anche un centro della maggioranza renziana che è un po’ antirenziano. Ergo, ci devono essere pure una destra e una sinistra della maggioranza renziana che sono un po’ antirenziane. Il principio aristotelico di non contraddizione è violato, ma la coincidentia oppositorum del neoplatonico Nicola Cusano è salva. Se le cose stanno così, sarebbe magnifico se al prossimo congresso il Pd segnasse il passaggio dalle categorie della filosofia classica al metodo della filosofia analitica (a partire dall’abolizione del metalinguaggio). Con la riscoperta di un sano pragmatismo alla John Dewey, inoltre, Renzi potrebbe dare vita a un vero partito liberaldemocratico (auspicabilmente di massa). Berlusconi ci ha provato, e sappiamo come è andata a finire. Provaci ancora Matteo, può darsi che sia la volta buona.

Michele Magno

 

La scissione è meglio della malattia, specie se la malattia si traduce con l’immobilismo.

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