Cos'è una scuola che non entra nel merito dei suoi problemi

Al direttore - Non c’è nessun idealismo nella Ue così configurata. L’idea di fondo è che l’economia (la moneta) risolve tutto. I conservatori di ogni latitudine hanno sempre messo in guardia da questa visione post sessantottina dove tutto era risolvibile perché il tutto era riconducibile a tre pseudo idealità. Le culture sono tutte uguali, le religioni pure e gli uomini sono o poveri o forza lavoro e basta. Non è così e non lo sarà mai. L’impero austro-ungarico finì perché le otto o nove nazionalità incluse si scoprirono “diverse”. Poi la diaspora dei paesi ex Urss, i Balcani, volendo la Scozia e i Paesi Baschi e se siamo sinceri c’è diversità fra un toscano e un calabrese. Non unisci popoli diversi con una moneta e qualche rigore di bilancio (pur importante). Magari il riferimento fosse Hegel (così per dire). E’ molto peggio e non c’è idealità alcuna da difendere. 27 lingue diverse si chiama babele. Aggiungi il filo-islamismo delle cancellerie e comprendi la Brexit, Trump e domani chissà.

Franco Bolsi


  

Al direttore - I miei sentimenti sono contrastanti. E lo sono anche le mie considerazioni su un piano più razionale. Sono dispiaciuto per l’abbandono del Regno Unito. Il popolo britannico ha dato molto alla storia dell’Europa a cominciare dalla prima dichiarazione dei diritti civili sino alla ferma determinazione nell’opporsi al nazi-fascismo. Su un piano razionale non posso che deprecare la sua uscita dall’Unione per vari motivi. Il Regno Unito era determinante nell’opporsi al predominio tedesco che da ora avrà vita molto più facile essendo Francia e Italia assai poco determinanti nel ruolo di contrappeso. Perdiamo inoltre uno dei paesi manifatturieri più potenti del pianeta e come Ue perdiamo altresì 60 milioni di consumatori “ricchi”. Cosa che ne fa diminuire l’importanza commerciale e industriale Non c’è nulla di cui rallegrarsi dunque e c’è molto di cui rammaricarsi.

Giovanni Raiti


 

Al direttore - La profonda Emerita riflessione di Giuliano Ferrara sul Foglio di ieri pecca di ingiustificato ottimismo quando sostiene di “non sottomettersi alla tenaglia neo imperiale”, perché l’Unione europea è definitivamente sottomessa agli imperatori che prossimamente se la spartiranno e assisterà passivamente alla ridefinizione dei nuovi equilibri globali della nuova Nato fra Trump (o forse si ritira?), Erdogan, Fillon (concordo sull’ultima speranza per i resti dell’Europa!) e … Xi Jinping a giudicare dagli squittii che hanno accolto la sua presa per i fondelli dell’occidente a Davos. Non resta che augurare all’Europa uno di questi possibili equilibri che metta fine allo scempio perpetrato dai 3.000 gnomi calvinisti che hanno ridotto l’Europa a questa impotente sottomissione.

Maurizio Guerrini


 

Al direttore - L’europeismo è morto quando s’è deciso di allargare i confini dell’Europa storica e “naturale” a chi nulla aveva di che spartire con questo mondo. Si è scomposto il nucleo, verrebbe da dire. S’è giocato a Risiko diluendo un’identità in mille rivoli diversi tra loro. Con l’ovvia conseguenza che al sentimento si sarebbe sostituito il burocratese più spinto.

Alfredo Quartarelli


  

Al direttore - Quindi addio anche all’ultimo vero esame che creava una sana e giusta apprensione tra gli studenti. La Maturità va in pensione, ora si potrà essere ammessi anche con qualche insufficienza, tanto c’è la condotta che sana tutto, e magari pure un bel nove in Educazione fisica. E’ il segnale definitivo che la sciatteria ha vinto la sua quarantennale battaglia. Il rigore che sta portando la Cina a dominare nel mondo, anche a livello scolastico, e che un tempo era il nostro vanto, è finito. Avremo università affollate di studenti mediocri (perché gli studenti possono essere mediocri, checché ne dicano le schiere di psicologi mediatici che vanno di gran moda) e professionisti di livello basso. Poveri noi.

Prof.ssa Alma Beneduce Rigobertis

 

Le valutazioni sono un orrore. I presidi non devono comandare. Gli asinelli non devono essere giudicati. Quando si dice che la scuola non vuole entrare nel merito dei suoi problemi.

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