(foto LaPresse)

L'Anm in sciopero mostra il suo volto politico. Di Maio, twitti lei?

Al direttore - Appare ogni giorno sempre più evidente che se si vuole leggere qualcosa di veramente decente su un giornale in Italia occorre acquistare il Foglio… tutto il resto, come la temperatura di Cuneo al vecchio bollettino dell’Aeronautica militare “n.p.” non pervenuto.
Ernesto Nobile

 

Al direttore - Il vicepresidente della Camera, M5s, e i congiuntivi: Don Gigino Di Maio ha fatto tre affannosi tentativi per riuscire a scrivere, correttamente, un tweet. Conta il risultato finale. In politica. Come nello sport. E anche nella grammatica. Per riuscire a padroneggiare la lingua italiana “non è mai troppo tardi”, che era il titolo di un programma Tv molto seguito, condotto, nei primi anni 60, da un bravo maestro e pedagogo, Alberto Manzi (1924-1997). Tuttavia, dopo le figuracce sui congiuntivi e alla Ue, i 5 stelle, secondo l’ultimo sondaggio, hanno superato il Pd… Nell’Italia di padre Dante, sgrammaticati, pasticcioni ma vincenti.
Un cordiale saluto.
Pietro Mancini

 

Come direbbe il ragioner Fantozzi a Gigino nostro: Di Maio, twitti lei?

 

Al direttore - Mons. Carlo Caffarra, già professore con Biffi all’Istituto Regionale Lombardo e poi Arcivescovo di Bologna, nell’intervista rilasciata a Matteo Matzuzzi, espone con un impeccabile argomentare le ragioni profonde che hanno indotto lui e i suoi colleghi cardinali a inviare al Pontefice una lettera, rispettosa e fiduciosa, rimasta senza risposta, e da alcuni ecclesiastici contestata. Non v’è alcun dubbio sull’onestà intellettuale e morale degli autori della lettera, la cui serietà, competenza e fedeltà alla chiesa è fuori dubbio, mossi soltanto per il bene delle anime. A certi teologi “ragazzini”, bisognerebbe ripetere le parole di mons. G.B. Guzzetti: prima di parlare, bisogna aver studiato teologia almeno per vent’anni.
Riccardo Poletti

 

Al direttore - Nel Foglio di sabato 14 gennaio, ho letto con grande gioia l’intervista di Matteo Matzuzzi all’Arcivescovo emerito di Bologna, S. E. il cardinale Carlo Caffarra, sulla questione della famosa lettera dei “quattro cardinali” inviata al Papa per chiedergli chiarimenti sull’esortazione “Amoris laetitia” in tema di famiglia, adulterio e sacramento dell’eucarestia. Condividendo totalmente l’intervista nella lettera e nello spirito, confesso che mi ha favorevolmente colpito il continuo rimando del cardinale alle regole che la logica classica pone a base del corretto argomentare, soprattutto di fronte al problema spinoso del rapporto tra dottrina e pastorale nella Chiesa. Nell’economia dell’intervista difatti, oltre i richiami ai beati Antonio Rosmini e John Henry Newman, ai santi Agostino e Tommaso, centrali risaltano i rimandi a Socrate e soprattutto ad Aristotele e alla sua logica. Mi chiedo: perché questo bisogno di Sua Eminenza di ritornare ai fondamenti della logica classica? E perché questo richiamo nel contesto del confronto sui punti controversi dell’esortazione “Amoris laetitia”? Parlando di una “grande confusione” della e nella Chiesa dei nostri tempi, sembra chiaro che il cardinale Caffarra ne individui la causa originaria proprio nell’abbandono di quei fondamenti. La dottrina cattolica post Concilio Vaticano II ha finito per sussumere la contraddizione della dialettica moderna come regula veri, ossia come il segno che il pensiero si trova nel vero, mentre per Socrate e Aristotele e la dialettica classica – nonché per la tradizione della Chiesa – la contraddizione è il segno del falso, ovvero che il pensiero o discorso non è conforme alla realtà. Ecco perché nella Chiesa bergogliana dei giorni nostri non suona più scandalo che si affermi – contraddittoriamente – che “ogni adulterio è ingiusto” e nello stesso tempo che “qualche adulterio non è ingiusto”. Così come sembra non suscitare alcuno scandalo il paradosso che quanto più la contraddizione della dialettica moderna è introiettata sul piano della dottrina quale regula veri, tanto più la Chiesa soggetto storico rinuncia invece a essere contraddizione al mondo. La Chiesa, insomma, è sempre più nella verità del mondo, ma sempre meno, ahimè, nella verità di Dio.
Alberto Bianchi

 

Al direttore - Leggo che l’Anm non si presenterà all’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione perché, dice Davigo, provano “dolore” in quanto il governo non mantiene la promessa di mandare i magistrati in pensione a 72 anni, almeno, invece che a 70. Sono perplesso sia per il “dolore” sia per la causa: evidentemente non deve essere, quello dei magistrati, un lavoro usurante e faticoso, ma di sicuro ben remunerato… altrimenti non capirei il sentimento espresso e il desiderio di mantenere il posto più che si può. Trovo che manchi il senso del ridicolo ed esprimo “stupore” perché il ministro di Giustizia non dà una risposta adeguata; certo la mancanza dell’Anm all’inaugurazione dell’anno giudiziario sembra importante solo a loro, di sicuro non ai cittadini come me.
Alberto Savoini

 

Trattasi di campagna elettorale. Non si parla di giustizia, si parla di correnti. E’ la politica delle procure, bellezza.

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