Enrico Mentana (foto LaPresse)

Mentana e la querela. Ci scrive Gori sui Cie. Una risposta

Al direttore - Grillo: mai detto che siamo diventati garantisti. Ok, querela ritirata.
Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Lo dico con rispetto ma con franchezza: penso che la circolare sull’immigrazione clandestina diramata a inizio d’anno dal nuovo ministro dell’Interno Minniti e dal capo della Polizia Gabrielli sia uno spot particolarmente riuscito, ma non risolva alcun problema. Non mi convince l’idea di moltiplicare i Cie, luoghi di trattamenti spesso disumani in cui i migranti destinati all’espulsione vengono trattenuti anche più di un anno (quando non se ne allontanano prima) e ancor meno l’idea di investire della questione le amministrazioni locali e la polizia municipale. Che c’entrano i comuni? Se i rimpatri non vengono eseguiti è perché mancano gli accordi bilaterali con i paesi d’origine dei migranti, o perché quando esistono non c’è modo di farli funzionare (per ragioni burocratiche, operative e di costo, avendo chiaro che i paesi d’origine non sono affatto contenti di riprendersi indietro queste persone): come si può pensare che se ne possano occupare i sindaci? Del resto le stesse finalità dichiarate dal Viminale fanno capire che il “piano straordinario” non ha molti legami con la realtà.  L’obiettivo – indicato come “molto ambizioso” – sarebbe quello di arrivare a raddoppiare i provvedimenti di espulsione. Non sono però i provvedimenti a scarseggiare, bensì i rimpatri effettivamente eseguiti. Nel 2016, su 38.284 decreti di espulsione emessi, i migranti irregolari effettivamente rimandati nei paesi d’origine sono stati solo 5.789. Nel frattempo sono sbarcati in Italia altri 181 mila migranti, che per l’80 per cento si vedranno con ogni probabilità negata la protezione internazionale, diventando così ufficialmente clandestini. Se anche raddoppiassero i rimpatri “veri”, e non solo quelli virtuali, sarebbe come cercare di svuotare il mare con un cucchiaio. Quel che si continua a non vedere è che due (talvolta tre) anni per dare risposta alle richieste di protezione sono un tempo inaccettabile, e che il sistema dell’accoglienza italiano, per come è congegnato, per i criteri di selezione a cui si attiene e per l’evidente impossibilità a eseguire il rimpatrio dei diniegati, è oggi una gigantesca fabbrica della clandestinità, con pericolose ricadute sulla sicurezza dei territori e sull’opinione pubblica. Non è solo una questione di maggiore velocità del processo. Se non cambiano i criteri di ammissione – che, sostengo, debbono legarsi all’impegno con cui i richiedenti asilo affrontano percorsi di formazione e di lavoro socialmente utile, ovvero alla loro concreta volontà di integrarsi, e non basarsi solo su un criterio di provenienza – continueremo a produrre clandestini, senza poi essere in grado di finalizzare le espulsioni. Così per la distribuzione sul territorio dei richiedenti asilo. Se oggi i comuni che accolgono sono solo 2 mila su 8 mila, per far cambiare idea a tutti gli altri temo non sia sufficiente scrivere – come hanno saggiamente convenuto Anci e ministero dell’Interno – che si assicura loro un “tetto massimo” di 2,5 richiedenti asilo ogni mille abitanti. I centri con centinaia di richiedenti asilo non sono infatti la causa del loro rifiuto, ma la conseguenza: le prefetture sono in affanno e collocano i migranti dove riescono, dove trovano strutture agibili, talvolta riempiendole come uova, proprio perché la gran parte dei comuni si sottrae all’impegno di accoglierne anche soltanto uno. E senza incentivi veri questa situazione non è destinata a cambiare.
Giorgio Gori, Sindaco di Bergamo

 

Caro sindaco, lei coglie un punto. Uno dei più grandi problemi italiani, nella lotta all’immigrazione clandestina e dunque irregolare, è certamente il dato che segnala, ovvero l’incapacità del nostro paese a dare spesso un seguito ai decreti di espulsione. I numeri sono spaventosi e lei ha ragione a far notare che i migranti irregolari effettivamente rimandati nei paesi d’origine nel 2016 su un totale di 38.284 decreti di espulsione alla fine siano stati solo 5.789. La storia di Anis Amri ci dice anche questo: che il buco nero del nostro paese è proprio lì. In Italia ci sono molte persone che attendono di essere espulse e troppo pochi luoghi in cui far attendere queste persone. E spesso capita che, per questioni di capienza, si scelga di far uscire dai Cie immigrati irregolari senza poi riuscire a garantire l’effettiva sicurezza del nostro paese attraverso il monitoraggio di coloro che dovrebbero essere espulsi e che invece restano sul nostro territorio. Su un punto però si sbaglia, caro sindaco, ed è un punto importante. Tutti saremmo felici se il nostro paese riuscisse a siglare i famosi accordi bilaterali con i paesi d’origine ma in mancanza di quegli accordi e in presenza di un numero alto di immigrati irregolari (l’area di clandestinità, come ha ricordato martedì sul Foglio Alfredo Mantovano, cresce al ritmo di 100 mila unità all’anno) è fondamentale avere un maggior numero di Cie, per evitare che coloro che sono clandestini e che dovrebbero essere espulsi si possano dileguare, come è successo con Amri. Infine, caro sindaco, c’è un altro dato da non sottovalutare: l’accordo tra ministero dell’Interno, Polizia e Anci è un accordo che riguarda non i clandestini ma i richiedenti asilo. Ovvero coloro che hanno un permesso provvisorio ma che attendono una decisione sulla domanda d’asilo. Il punto qui non è ridurre gli spazi in cui far stare queste persone ma accelerare i tempi necessari per rispondere alle domande d’asilo. Nell’attesa i comuni non possono usare lo stesso metro di giudizio utilizzato dall’Europa continentale e dire che il problema non è nostro ma di qualcun altro. Non crede? Un saluto cordiale e grazie.

Di più su questi argomenti: