Fake news, post verità. Giacomelli contro Orlando. Con postilla

Al direttore - Non intendo sottovalutare l’enorme impatto che le grandi piattaforme della rete stanno provocando nel mondo dell’informazione, ma proprio per questo starei attento a non trasformarli in un gigantesco alibi per coprire fenomeni più profondi e complessi o, semplicemente, il nuovo che avanza. Anche nella bella intervista pubblicata dal Foglio con il ministro della Giustizia Orlando sembra affiorare l’idea che la democrazia sia in pericolo per colpa di Facebook. Siamo sicuri? Siamo sicuri che prima della nascita dei social il flusso dell’informazione controllata dai grandi media garantisse più trasparenza e controllo da parte dei cittadini-lettori-elettori? E i paesi in cui Facebook è vietato sono davvero più democratici? Basterebbe ricordare l’impatto del non voto delle generazioni più giovani (più europeiste e più social-friendly) sull’esito della Brexit o i tre milioni di voti in più raccolti da Hillary Clinton su Donald Trump per smentire il facile determinismo tecnologico dietro al quale spieghiamo sconfitte in gran parte politiche. Naturalmente non sto dicendo che i grandi Over the top (da Google a Facebook) non stiano rivoluzionando l’economia mondiale, i rapporti sociali, i flussi dell’informazione. Uso la parola “rivoluzione” proprio perché sono consapevole del cambiamento che ha introdotto la “disintermediazione” e del fatto che l’impatto delle tecnologie non è mai neutro. Tutti noi abbiamo ancora negli occhi la celebre fotografia del brindisi del presidente Obama con i Ceo dei colossi della Silicon Valley per ricordare la dimensione politica di quel “patto”. Ma ho come l’impressione che gli Over the top stiano diventando il bersaglio più facile di chi voglia difendere gerarchie, vecchie abitudini, rendite di posizione. Lo dico a noi democratici: com’è possibile che in pochi mesi la California dell’innovazione di Obama sia già diventata il Male assoluto? Mi sembra anzi che da qualche tempo – da prima della Brexit e del voto Usa – proprio le grandi piattaforme siano diventate più consapevoli del potenziale che esprimono e del ruolo che possono svolgere nella dimensione collettiva. Ricordo che il Garante italiano della privacy è stato il primo a stringere un accordo con Google che consente ai tecnici dell’Authority di andare a controllare direttamente i server a Cupertino come già sta avvenendo. Il ministro Orlando mi sembra chieda che gli Over the top siano pienamente responsabili dei contenuti che pubblicano, come un editore tradizionale. Cosa intende? Una multa per ogni notizia falsa che uno di noi ha pubblicato? Un controllo preventivo? E poi, oggi i giornali pagano una multa per le notizie false? I milioni di cittadini che tutti i giorni usano Facebook o YouTube sanno benissimo come funzionano Facebook o YouTube e non credo accetterebbero l’idea che qualcuno (chi? Zuckerberg? Cook?) preventivamente decidesse cosa pubblicare e cosa censurare. Già oggi non tutto è permesso. Esistono le leggi, i tribunali, le authority. Nella revisione della Direttiva Media in corso a Bruxelles l’Italia ha proposto di facilitare modi e tempi con cui contenuti violenti e pedopornografici vengono rimossi dalle piattaforme di videosharing. Ma c’è un limite oltre il quale rischiamo di non essere capiti proprio da chi quelle piattaforme le usa tutti i giorni.
Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni

 

Caro Giacomelli, non credo che il problema sia non essere capiti da chi quelle piattaforme le usa tutti i giorni (mi sembra che non vi capiscano a prescindere dal dibattito sulle fake news). Il problema è più sottile, con Facebook: si può accettare che il più grande distributore (o se vuole il più grande veicolatore) di contenuti al mondo non abbia alcuna responsabilità sui contenuti che pubblica? Trovare un modo per rendere Facebook più responsabile di ciò che pubblica non significa che Zuckerberg abbia la responsabilità di tutto ciò che viene pubblicato su Facebook. Significa sviluppare il ragionamento che abbiamo fatto su queste colonne con il ministro Orlando: l’epoca della disintermediazione per essere costruttiva e non distruttiva ha bisogno di una nuova mediazione. Come si fa? Le consiglio di leggere una buona analisi che il Wall Street Journal ha pubblicato qualche giorno fa. L’analisi è a firma di David Chavern, presidente e amministratore delegato della News Media Alliance, e lo spunto è interessante. Chavern sostiene che Facebook potrebbe contribuire a combattere le fake news non solo segnalando ciò che è falso ma anche creando un algoritmo che sappia riconoscere una notizia che arriva da una fonte legittima: “This would not make Facebook a news provider but would recognize some of the power in its platform”. Si dirà: ma anche le fonti legittime a volte veicolano notizie false, patacche. E’ vero, i giornali sono pieni di notizie che non lo erano, ma questo capitaquando si leggono i giornali e i siti sbagliati (che non sono quelli che non sbagliano mai, sbagliamo tutti, ma sono quelli che se ne infischiano quando sbagliano qualcosa e fanno finta di niente, alimentando anche loro la spirale orrenda della post verità).

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