Vincenzo De Luca (foto LaPresse)

De Luca e il reato di cazzeggio. Notizia su Lerner (e Marcenaro)

Redazione

Al direttore - Il Papa dice che il cancro della chiesa sono gli ecclesiastici in cerca di gloria. Ok, ma ce l’hanno già detto che l’unico leader è Renzi.

            Giuseppe De Filippi

  

Al direttore - La Cgil è per il No, la Cisl per il Sì, la Uil per il Nì: il mistero della Trinità nel catechismo sindacale.

            Michele Magno

  

Al direttore - Con riferimento alla stupida polemica sulle parole del presidente De Luca, c’è da chiedersi veramente in che paese viviamo se si scambia il linguaggio parlato, metaforico, per linguaggio descrittivo, intenzionale. A voler essere precisi, il presidente De Luca ha usato semplicemente un’iperbole e l’iperbole presuppone “buona fede” in chi la usa: ha solo lo scopo di dare più enfasi a ciò che viene detto. E’ evidente che è un paradosso. Come paradossali sono tanti modi di dire campani e regionali in genere come “ti ucciderei”, “ti possino ammazza”, etc., più frequenti nell’uso dialettale.

E’ mai possibile che i giornali traducano espressioni simili con titoli come "“De Luca vorrebbe la morte dell’on. Bindi”?

E’ come soffermarsi sul dito che indica la luna. I grandi soloni, i Saviano, i pennivendoli subdoli, hanno smarrito,  loro sì, il senso del reale. Il superficiale lavoro dell’on. Bindi (superficiale perché fatto in modo meccanico, senza andare nel merito delle delicate questioni trattate) ha, invece, realmente influenzato il voto dei cittadini campani. Bravissimo Massimiliano Parente del Giornale che ha colto in pieno il quid della questione: l’accusa di impresentabilità era reale, l’intento di uccisione era solo metaforico. E io aggiungerei: ferire e infangare l’onore di una persona per bene fu un gesto concreto, scorretto, dannoso. Il linguaggio figurato è solo astratto, immaginifico.

            Antonella Greco

  

Grillo che sogna bombe sulla Camera e predica una allegra gogna quotidiana è satira raffinata, così come è battutismo spassoso un vicepresidente della Camera che invita gli italiani a preparare un colpo di stato per liberarci di un leader politico che somiglia a Pinochet. De Luca che cazzeggia su Bindi, invece, orrore, è istigazione a delinquere, è un chiaro invito ad andare con le lupare sotto casa della presidente antimafia. Siamo pronti a tutto, per carità, ma il reato di cazzeggio per il momento ce lo risparmieremmo volentieri, grazie.

   

Al direttore - La vittoria di Trump non è solo la sconfitta delle élite, prima ancora è la sconfitta di un preciso modello culturale di cui le élite progressiste, soprattutto in occidente, si sono fatte portavoce. Il paradosso (ma fino a un certo punto, se soltanto avessimo fatto tesoro della vichiana lezione sulla eterogenesi dei fini) è che alle élite gli si è rivoltato contro il giocattolo che esse stesse hanno costruito – il che spiega, oltretutto, fastidio disappunto sconcerto e choc planetari  – ovvero una società compiutamente individualista che vive etsi Deus non daretur, per dirla con Benedetto XVI. E’ più o meno dal ’68 e dintorni che in occidente è in atto una vera e propria guerra culturale le cui parole d’ordine sono state emancipazione, libertà, autonomia, autodeterminazione, etc. Tramite soprattutto scuola e tv, l’egemonia sinistrorsa ha imposto un preciso modello antropologico che, volendolo riassumere in una battuta, si è tradotto nella cancellazione dei doveri a favore dei diritti e nella esaltazione dell’Io e dei suoi desideri, a loro volta elevati a diritti. E ora, ora che quest’uomo che loro hanno plasmato, allevato, accudito, cresciuto e viziato in tutti i modi ha deciso – anche grazie al potere di disintermediazione offerto dai social network – di fottersene delle élite e di votare Trump usando quella stessa libertà e autonomia di cui i (cattivi) maestri di un tempo andavano pontificando nei caffè di Parigi o nei salotti dell’establishment, ora lorsignori non si raccapezzano, non si capacitano, e sono così irritati da arrivare a mettere in dubbio – udite udite – niente meno che il suffragio universale (e il popolo sovrano? e la ggente? adesso non contano più un cazzo? O non sarà che forse non ha mai contato un cazzo per voi il popolo bue?). La verità, care le mie élite, è che almeno in occidente esiste ancora quel qualcosa che nessuna ideologia potrà mai cancellare: si chiama senso comune, che spinge interi popoli a indirizzare le proprie scelte laddove “sentono” giusto farlo, in barba a tutte le mediazioni di questo mondo. Successe anni fa in Francia e Olanda in occasione del voto sulla Costituzione europea, è successo pochi mesi fa con la Brexit,  è successo l’altro giorno con Trump. E succederà ancora, tutte le volte che ce ne sarà bisogno.

            Luca Del Pozzo

  

Al direttore - Il pm antimafia Di Matteo dice che questo governo non ha legittimazione morale: e quale sarebbe la sua da magistrato che parla così?

            Alberto Savoini

  

Al direttore - Contrordine compagni, Santoro è dei nostri!.

Cordialmente,

            Filippo Testa

  

Un azionista del Fatto quotidiano (Santoro al 7 per cento) che vota Sì al referendum è una notizia mica da poco (solidarietà massima a Marco Travaglio). Notizia gustosa quasi come quella che vi stiamo per dare: al referendum del 4 dicembre Gad Lerner ha deciso che voterà Sì come Andrea Marcenaro.

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