L'assoluzione di Marino è una condanna per la politica dei moralisti

Redazione

    Al direttore - Assolto Marino, 5 anni ai romani.
    Giuseppe De Filippi

     

    L’assoluzione di Marino, semmai fosse  necessario dirlo, dimostra ancora  una volta che i criteri giusti per valutare un politico sono quelli dell’efficienza non della moralità. E l’errore del Pd, lo scorso anno, non è stato dare un calcio a Marino. E’ stato darlo per le ragioni sbagliate: lo scontrino era il dito, la luna era Roma.

     

     

    Al direttore - “Magari mi sbaglio, ma penso che sul referendum oggi faccia fino dire io voto No” (Fedele Confalonieri, Corriere della Sera). Magari mi sbaglio, ma penso che sul referendum il presidente di Mediaset abbia capito tutto.
    Michele Magno

     

    E’ la maggioranza sì-lenziosa.

     

     

    Al direttore - Dopo le richieste della procura di Roma di archiviare le posizioni di 117 indagati, Il Foglio ha chiesto: “Mafia capitale era una fiction?”. Sul piano politico, ha inciso, e quanto, il mega-risalto mediatico, dato all’inchiestona, coordinata da magistrati molto seri e preparati, il capo della procura, Pignatone, e i sostituti Tescaroli, Jelo e Cascini sul crollo, alle elezioni, del Pd, di FI e sul trionfo del M5s e della candidata a sindaca, plebiscitata dai romani, donna Virginia Raggi? Qualora gli arresti (filmato dai Cc, e trasmesso più volte, nei Tg, quello di Carminati) e gli avvisi di garanzia avessero contribuito, in modo rilevante, a orientare e a condizionare il giudizio dei romani, ci troveremmo di fronte a un fatto, non positivo: per la politica, per la giustizia e, soprattutto, per l’amministrazione della capitale del paese. E’ giusto non disturbare il silenzio di Mattarella, ma dubito che altri inquilini del Colle, che presiedono il Csm, e non solo il compianto Cossiga, avrebbero taciuto…
    Pietro Mancini

     

     

    Al direttore - Bravino Roberto Benigni, che per una volta non appare scontato. D’altronde la coerenza – sosteneva Giuseppe Prezzolini – è la virtù degli imbecilli.
    Jori Diego Cherubini

     

     

    Al direttore - Caro Cerasa, leggerla è stimolante, il quarto punto della sua ricostruzione delle lezioni che dovrebbe ricavare l’Italia dalla Spagna poi è da citazione: la Spagna è la dimostrazione che le riforme e gli aggiustamenti, cosiddetti di destra, sono, invece solo la terapia giusta: imposte alle imprese ridotte dal 30 al 25 per cento tra il 2015 e il 2016, hanno prodotto due risultati ambedue positivi: una crescita del pil del 2,7 per cento, anche senza governi in carica. Cioè, il bimbo ha imparato a camminare così bene da solo da non aver più bisogno del sostegno continuo della mano del babbo/stato. E, cosa ancor più sopraffina, ha spaccato, ridotto all’impotenza politica il maggior partito della sinistra, Partido socialista obrero español, quello pluri vincente con Felipe González. Oddio, i sette anni di José Luis Rodríguez Zapatero, hanno innescato la rovina di Pedro Sánchez, ma glisso. Però il principio di realtà ci dice che quell'evoluzione politica non è trasferibile, per ora, da noi. Non esiste un Rajoy italiano, non esiste quel partito che lui ha alle sue spalle e, per dirla tutta, Iglesias è un gigante politico confronto a Grillo. L’unico umano vivo, nella terra degli zombi, è Matteo Renzi. Se non si vuole zombizzare, va ucciso. All’uopo TTR. Eh sì, gli zombi prima di provare a ridiventare umani, preferiscono il TTR. Poi sembra doveroso, in sede di analisi macropolitica, considerare l’importanza di altri due elementi che differenziano la Spagna dall’Italia: il Papa è a Roma e il corpo elettorale spagnolo, nel suo insieme appare più politicamente maturo del nostro. Tornando a bomba: per fare quello che ha fatto Rajoy: flessibilizzazione del mercato del lavoro, taglio della spesa pubblica e delle tasse e riduzione del carico fiscale e burocratico per le imprese, o perlomeno per imboccare quella strada, è indispensabile l’affermazione del Sì. Non è una fissa, o una partigianeria pro Renzi, è quello che spiega esaurientemente il principio di realtà. Poi, fate voi.
    Moreno Lupi

     

     

    Al direttore - Caro Cerasa, aggiungo due fattori poco politici ma determinanti per l'economia della Spagna che molti imprenditori italiani conoscono a proprie spese: il primo è una tassazione che abbassa tutte le componenti dei costi di produzione, grazie a uno stato leggero (il fatto che sia assente è quindi un vantaggio, peraltro storicamente accertato con buona pace di tutti i socialisti); il secondo un sistema finanziario che funziona molto efficacemente grazie ai salvifici (e ben usati) aiuti Ue ricevuti dal sistema creditizio, contro l’opposta situazione che vede in Italia il sistema del credito servo garante dell’immenso debito pubblico nazionale e non solo, dato che per mantenere un ruolo di primo piano nell’Ue, l’Italia si è fatta carico di intervenire con il Fondo salva stati a parziale copertura del disastro finanziario delle banche tedesche e francesi.
    Maurizio Guerrini