Dopo otto anni di Obama il mondo è più sicuro? Risposta esatta

Redazione

    Al direttore - Sull’immigrazione, e contro i moralisti dell’immigrazione, dopo la sceneggiata del cuore occorre l’analisi, scrive giustamente Giuliano Ferrara. Ma se l’analisi fosse di segno diverso – poniamo – rispetto a quella della “rinuncia euro-americana a disciplinare con la forza diplomatica, politica e militare le aree di crisi” delle guerre civili e del jihadismo? E se l’analisi, anzi la narrazione (usa così, oggi: interessante sostituzione retorica), di Barack Obama per gli Usa fosse altra e differente? Primo: uscire dalla crisi economica. Secondo: mirino sull’area del Pacifico e sfida con la Cina. Terzo: erosione del potere di Putin in Russia (anche per via ucraina). Quarto: accordo con l’Iran, con le conseguenze su scala media e larga che sappiamo, e possono non piacere. Crescere alla Hawaii – piccolo ma non minore esempio – e comprarci la bella villa del buen retiro (non Cape Cod o Hyannis Port, non il Texas, non New York o Los Angeles, come per altri presidenti), forse significa qualcosa? Non la camiciola hawaiana, beninteso, con la sua irresponsabilità escapista, ma un altro baricentro (un’altra narrazione, anzi)? E se Jeb Bush sui poster è soltanto Jeb, cassando il nome della casata, non significa qualcosa? E ancora: non dovremmo forse cominciare a parlare di “rinuncia euro” e basta e prepararci a operare di conseguenza? L’America non soltanto agli americani, ma ai suoi concretissimi interessi, che non è detto debbano corrispondere a quelli di una storica e ancor solida e ineludibile, speriamo, alleanza atlantica. Sono solo domande.
    Luca Rigoni

     

    Le rispondo ponendole un’altra domanda: dopo otto anni di Obama, oggi il mondo è più sicuro o è meno sicuro? Risposta esatta.

     

    Al direttore - C’è una costante che collega gli innumerevoli attentati islamisti che hanno colpito i paesi occidentali negli ultimi anni: i responsabili, anche quando prontamente etichettati come “cani sciolti”, erano già noti ai servizi per la loro aperta adesione alle idee estremiste. Il motivo per cui rimane così arduo prevenire gli attacchi lo ha spiegato Daniele Raineri sul Foglio: i potenziali terroristi islamici sono troppo numerosi e tenerli tutti sotto sorveglianza è impossibile. E tuttavia, se ci teniamo a conservare quel minimo di senso di sicurezza che dovrebbe permette di distinguere la Francia dal Libano, non possiamo limitarci ad aspettare e sperare che il terrorista di turno sia disarmato da qualche coraggioso americano in vacanza. Serve la consapevolezza che, almeno per i soggetti più pericolosi, sia necessario rivalutare il metodo del “caso Abu Omar” (medaglie e non processi per chi fa il lavoro sporco per tenerci al sicuro!). Per la moltitudine dei simpatizzanti, invece, si potrebbe agire penalmente sulla base dei reati di pensiero, che peraltro in Italia sono già presenti “grazie” alla (brutta) legge Mancino, che prevede la reclusione per istigazione o anche semplice incitamento a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Promulgata contro la destra neofascista non potrebbe tornare utile per frenare il dilagante islam politico?
    Daniele Montani

     

    Al direttore - L’islam moderato non esiste e per farci capire che non possiamo sperare che le cose cambino Matteo Matzuzzi, nel suo inquietante articolo sul Foglio, cita padre Douglas al Bazi parroco a Erbil, il vicepresidente della conferenza degli imam di Francia (e imam di Nimes) Hocine Drouiche e Ibrahim Alsabagh, parroco ad Aleppo: tutti loro sostengono che il cancro dell’islam è alle nostre porte. Possibile che solo i leader mondiali e il Vaticano non lo capiscano? E’ ovvio che non pretendo da loro che affermino che l’islam è il male: non possono scatenare una guerra aperta. Però penso di potergli chiedere che dalle loro azioni si possa intuire che l’hanno capito, invece è esattamente il contrario, le loro azioni negano apertamente questa realtà, le loro azioni sembrano ispirate al sogno di quel dialogo interreligioso che l’islam combatte in maniera inequivocabile. Ma costoro, che sono la guida del mondo occidentale e cristiano, ci stanno sacrificando per sentirsi in pace con le loro coscienze?
    Roberto Bellia

     

    Ogni parola che la chiesa non spende per condannare esplicitamente l’islam fondamentalista è uno schiaffo che la chiesa dà a tutti coloro che nel loro piccolo, anche tra i musulmani, provano a ribellarsi all’islam fondamentalista. Negare un problema, come si sa, è il modo migliore per farlo ingigantire, quel problema.

     

    Al direttore - Le parole di padre al Bazi al Meeting di Rimini, riportate nell’articolo di Matzuzzi, sono un pugno nello stomaco che non può lasciarci indifferenti. Noi europei, occidentali, stiamo “dormendo” pacifici, poco consapevoli di ciò che potrà accadere se non ci svegliamo. Il grido terribile di questo padre cattolico che senza giri di parole ci ha sbattuto in faccia la tragica realtà dei cristiani in Iraq e più in generale nel medio oriente dicendoci che l’islam è uno solo, dovrebbe farci svegliare dal sonno in cui siamo immersi, abituati alle nostre comodità e alla nostra inerzia. “Il cancro è alle vostre porte”, ci ha ricordato, serve aggiungere altro?
    Pasquale Ciaccio