Lacrime d'amore

Sul modello delle “Tiny Love Stories” arriva “Modern Love”. Tanti pianti per storie da poco

Mariarosa Mancuso

Esistono generi letterari intramontabili, neanche i social sono riusciti a scalzarli o a rivoluzionarli. Le chiacchiere tra ragazze, per esempio (diciamo ragazze, e intendiamo di ogni età, manca l’esperienza delle conversazioni tra maschi in circostanze analoghe). “Io lo guardavo ma lui non si è girato”; “E’ andato via senza salutarmi, ma ho sentito che c’era qualcosa”; “Mi ‘cuora’ – nel senso che mi inonda di cuoricini – ma non si fa avanti” (anche nella versione “mi manda ‘dick pic’, ma poi finisce lì”). Per accompagnamento, conversazioni da antichi sofisti: “Io allora gli ho detto questo e quest’altro, e lui allora mi ha risposto così e così: ma secondo te, cosa voleva dire davvero?”. Cogliamo l’occasione per intervenire a gamba tesa, con l’elogio della superficie che da anni teorizziamo. In queste delicate materie – anche in altre dove i rischi sono minori – meno si scava meglio si campa. L’insistenza per i saltelli del cuore genera sbadigli, strano che alle ragazze intelligenti sfugga.

 

“Modern Love” – la nuova serie antologica Amazon Prime, tratta dalla rubrica settimanale del New York Times avviata 15 anni fa (da 4 ha generato un amatissimo podcast) – è il più moderno esempio del genere. Moderno, perché nessuno oserebbe accostarlo alle rubriche popolari “Vite vissute”, “Una persona che non dimenticherò mai”, “Ti ho incrociato giovedì scorso sulla metropolitana, avevi una sciarpa a righe e una cartella da disegno, vorrei ritrovarti” (se ne leggono tanti sui piccoli annunci di Libération). Sono “personal essay” – storie inviate dai lettori che le hanno vissute, senza la protezione dell’anonimato, niente situazioni di fantasia, niente personaggi inventati. 1.500 parole (circa 10.000 battute) che si riducono a 100 parole per le storie minuscole: “Tiny Love Stories”.

 

Lanciata il 18 ottobre, otto puntate per la prima stagione, “Modern Love” è diretta da John Carney. Lo ricordiamo per “Once - Una volta”, commovente storia d’amore dublinese tra due bravi musicisti: un cantante di strada (per vivere aggiusta elettrodomestici) e una ragazza immigrata che canta e suona il piano (se solo ne avesse uno su cui esercitarsi, scrocca nei negozi di strumenti musicali). Duettano, quasi si innamorano, il lieto fine amoroso manca, ma il grande successo arriva. Anche per il regista & musicista, vincitore di un Oscar per la migliore canzone, e subito ricercatissimo a Hollywood (suo anche “Spring Street”, con gli animali cantanti). Non solo: nel 2011 il film divenne un musical e vinse 12 Tony Award.

 

John Carney ha scelto un cast lussuoso, da Anne Hathaway, Tina Fey, Dev Patel, Sofia Boutella. Già è stata ordinata una seconda stagione, la miniera di storie è inesauribile, i lettori sembrano saperne una più degli sceneggiatori. Parliamo di spunti, poi manca lo sviluppo drammatico: la vita non è un romanzo, e neppure un film: ogni tanto azzecca una scenetta. Gli episodi durano mezz’ora (anche l’ultimo, originato da una mini-storia rimpolpata dal regista con astuzia). Nel primo, scopriamo che i portieri in livrea dei palazzi di New York all’occasione sanno fare da segretario galante per una ragazza che vive sola. Nel secondo, scopriamo che sui treni una volta si rubavano i libri, e se nel libro avevi segnato l’indirizzo della ragazza dei tuoi sogni era un dannatissimo guaio. Non c’era Facebook, neppure Google. Lo spettatore piange calde lacrime, i due mancano un appuntamento importate. Invece, per serendipity o per fortuna sfacciata, molti anni dopo hanno una seconda occasione. E giù altre lacrime, è la serie che le chiede.

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