Roma città aperta

Romolo e Giuly in fuga (dal guardaroba a Cortina 1983), calano i milanesi, salgono i napoletani

Mariarosa Mancuso

"Amor che a nulla amato amatriciana”. Un biglietto da visita così lascia aperta ogni possibilità, già la prima stagione di “Romolo+Giuly-La guerra mondiale italiana” aveva sfoderato battute locali e demenzialità globali. Dallo scorso lunedì su Fox va in onda la seconda, meno romanocentrica e quindi più accessibile allo spettatore convinto che tra Roma nord e Roma sud sia soltanto questione di geografia, non di opposte visioni del mondo. Siccome “La breccia di Corso Francia” ai bresciani non dice granché, e siccome il pubblico va coltivato anche se abita fuori dal raccordo anulare, a Roma sono calati i milanesi e sono saliti i napoletani. Spartendosi la città come se fosse Berlino, deportando i romani o tenendoli prigionieri con la tuta arancione che sostituisce le righe carcerarie. Invece di intrecciare cestini, a furia di bacchettate sulle dita imparano la raccolta differenziata.

 

Eravamo partiti dall’amore contrastato di Romolo Montacchi, figlio del re della monnezza, per Giuly Copulati, figlia di palazzinari. Quoziente d’intelligenza complessivo: sotto il minimo (“E’ qui che coltivano i piatti che noi mangiamo”, dice la ragazza visitando per la prima volta la cucina di casa sua). Quando le cose si mettono male, Giuly e Romolo scappano attraverso un cunicolo spazio-temporale che dal guardaroba conduce a Cortina 1983, l’ultimo rifugio sicuro (ne hanno uno tutti i romani ricchi, si arriva in montagna giusto in tempo per festeggiare il Capodanno, e poi arriva Natale, e poi subito dopo un altro Capodanno).

 

Intanto Mastrota (lui, proprio lui, Giorgio il re delle televendite accompagnato qui dal pupazzo T’ciù, che dalla guerra è uscito malconcio) e Don Alfonso (Fortunato Cerlino, il Pietro Savastano di “Gomorra”) si spartiscono il potere. L’uomo venuto dal nord sfrutta i programmi tv e gli spot pubblicitari, più un algoritmo di nome MARIO, rudimentale cervello elettronico che calcola il pensiero dell’italiano medio (con un occhio alla piattaforma Rousseau, mentre la televisione ricorda epoche passate: una voglia di satira politica si annida nel cuore di ogni comico). Prima decisione: abolire il lunedì, che diventa “Domenica bis” (la voglia di satira si annida nel cuore di ogni comico, ma da quando esiste il “mandato zero” il margine di manovra è minimo).

 

L’uomo venuto dal sud avvia la modernizzazione legalizzando i reati e facendo pagare le tasse alle forze produttive del paese: Mafia, Ndrangheta, Sacra Corona Unita (“Mio padre si rivolta nel pilone in cui l’ho dovuto murare”). Su tutti vigila il funzionario tedesco con accento da Sturmtruppen che a colazione mangia il debito greco sdegnando le polpette.

 

Romolo e Giuly sono un pretesto per incatenare gag, qualcuna in linea con l’amore contrastato, altre perse per la tangente. Scopriamo l’esistenza nel “neurone fregna”, unico funzionante quando il ragazzino si fa uomo (Pete Docter in “Inside Out” non l’aveva considerato, ma lì avevamo una ragazzina protagonista). Viene rifatta identica la scena degli spermatozoi nel film di Woody Allen “Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso…”: è il momento di lanciarsi verso l’ovulo, ma che paura! Per aggiungere citazione a citazione, l’ovulo attende mollemente adagiata su un sofà, vestita elegante, e lo spermatozoo si prodiga in una dichiarazione d’amore. Niente a confronto di Carlo Marzo, l’ultimo comunista, e della sua profezia: “Estrarre la forchetta dalla pasta”. L’attore è Giobbe Covatta, tra le numerose guest star che allieteranno la stagione.