Il ritorno di Gomorra

Nella quarta stagione lo stile che funziona rimane, con qualche lentezza e manierismo in più

Mariarosa Mancuso

Parecchi morti dopo (contando solo i cadaveri con nome e soprannome) e una quantità di doppigiochi, agguati, tradimenti, vecchia camorra che lascia il posto alla nuova, il 29 marzo è partita la quarta stagione di “Gomorra - La serie” (su Sky Atlantic e in streaming su Sky On Demand). Roberto Saviano che vince non si cambia: le migliorie necessarie erano già state fatte all’avvio del primo successo internazionale della serialità made in Italy. A suo tempo, il produttore Riccardo Tozzi di Cattleya lo spiegò con poche e semplici parole: “Abbiamo scelto i più bravi” (è un vero peccato che il cinema italiano non sia stato capace di fare lo stesso salto, e adesso fa la guerra a Netflix invocando le quote).

 

Ciro Di Marzio detto “l’immortale” è morto. Sopravvissuto al crollo di una palazzina nel terremoto dell’Irpinia, era molte puntate fa il braccio destro di Pietro Savastano che gli aveva affidato il figlio Genny per avviarlo al mestiere. Il rampollo non sembrava molto portato, ma l’esempio e la pratica hanno fatto miracoli (e negli anni i rapporti tra Genny e Ciro hanno avuto rivolgimenti bastanti per più di una tragedia greca, anche a prova di Edipo).

 

Non vedremo nella quarta stagione l’attore Marco D’Amore, passato alla regia: dirige il quinto e il sesto episodio. Altro segnale che la serie avviata nel 2014, con Stefano Sollima showrunner, lavora con i ritmi e la professionalità dell’industria americana (nel cinema italiano gli attori che passano dietro la macchina da presa fanno fuggire gli spettatori). Tornerà, come attore e regista, nel prequel “L’immortale”: infanzia, vocazione e prime esperienze di un sicario, mentre la camorra fa affari dopo il terremoto.

 

Morto Ciro, siglata la pace con i clan rivali, Gerry Savastano decide di cambiare vita. Lo aveva promesso alla moglie Azzurra, passeggiando romanticamente sulla pista di un aeroporto. Affida Secondigliano al governo di Donna Patrizia (una che prima vendeva vestiti alle mogli dei boss e voleva stare lontana dagli affari sporchi, bella carriera pure lei). Un anno dopo, lo troviamo mentre organizza una festa per il figlio Pietro, e ricaccia indietro i mimi vestiti in bianco e nero, con la lacrima sul volto, perché “i bambini si spaventano”. “Li vestiremo da clown”, risponde l’organizzatrice – il cliente che paga ha sempre ragione.

 

Costruire il più grande aeroporto della Campania è il business della svolta, Genny Savastanno si raccomanda: “Tutte le assunzioni devono essere a norma di legge”. Fa impressione, certo, e farà ancora più impressione vedere il camorrista che va a Londra, prende alloggio al St Pancras Hotel e lì riceve i nuovi soci d’affari. Salvo poi concordare con la moglie: “Questa città mi dà ansia”. Anche i terreni andrebbero comprati legalmente, ma non è facile far dimenticare il passato ingombrante. Un po’ di spazzatura incendiata fa subito “terra dei fuochi” (come se Roberto Saviano fosse tornato per riprendersi quel che è suo, e finora ha avuto successo perché si era preso molte libertà).

 

Lo stile Gomorra – dialetto strettissimo, mai una spiegazione, luoghi azzeccati e facce vere – rimane. Con qualche lentezza e manierismo in più. Nel primo episodio c’è il “cardillo”, il cardellino che secondo la leggenda si macchiò del sangue di Cristo nel tentativo di levargli una spina dalla fronte. Un “cardillo addolorato” (la passione di Zio Gerlando, boss di Villa Literno) che omaggia Anna Maria Ortese e fa partire al rallentatore la nuova stagione.

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