Prepararsi alla settima stagione di “Game of Thrones”. Troni e cinema

Mariarosa Mancuso

Il successo della serie più acclamata di sempre si spiega con una battuta di Dino Risi

Alla fine dei film di guerra arriva l’elenco dei sopravvissuti, con un breve sunto delle loro vite. La testa calda che mette su famiglia, per andare a schiantarsi con l’automobile dietro l’angolo di casa. Il timido che in trincea sembrava spacciato e invece campa fino a 99 anni. Per prepararsi alla settima stagione di “Game of Thrones” partita la scorsa domenica su Hbo (gli spettatori italiani la possono vedere su Sky Atlantic, subito con i sottotitoli e poi doppiata) gli spettatori esperti aiutano a ripassare l’elenco dei cadaveri prodotti nella stagione scorsa. Va da sé che nessuno è morto in pace nel suo lettuccio.

Sono tanti, mai niente che li annunci. Gli showrunner David Benioff e D. B. Weiss – “Le cronache del ghiaccio e del fuoco” di George R. R. Martin sono ormai sopravanzate dal successo della serie tv, avida di nuove trame – non guardano in faccia a nessuno. E neppure, vivaddio, rispettano la regola che vuole i buoni biondi e puliti, mentre i cattivi sono neri, sozzi e sdentati. La scelta in controtendenza strappa la serie al genere fantasy, trasportandola tra gli eredi del caro – e per nulla invecchiato – William Shakespeare.

Gli storici che sempre storcono il naso e trovano mille difetti ai film ambientati nel passato – dovrebbero avere i denti cariati, Shakespeare non poteva permettersi di scrivere due righe, appallottolare il foglio e buttarlo nel cestino come i giornalisti di Prima pagina, Cleopatra non indossava il reggiseno – per “Game of Thrones” hanno un occhio di riguardo. Lo abbiamo scoperto leggendo il Sunday Times, che con dovizia di particolari prende gli episodi della serie e li mette in parallelo con le cronache medievali, britanniche e non solo.

 

L’articolo comincia con la sanguinaria battaglia tra due giganti e un cavaliere, nel bosco. Parrebbe tratta da un episodio inedito, viene invece da Chrétien de Troyes, inventore di re Artù, di Lancillotto, del Sacro Graal (fu un bestsellerista di 850 anni fa, non solo in Francia). Spiazzato il lettore, sbrigate alcune faccende come l’ossatura originaria di George R. R. Martin – “intrighi, controintrighi, ambizione, omicidi, vendette”, trovate qualcosa di più scespiriano se vi riesce – arrivano le rifiniture. Il muro di ghiaccio viene da una visita al Vallo di Adriano, i Guardiani della notte sono ispirati ai Templari in servizio a Gerusalemme, per i barbari e le loro usanze c’era solo l’imbarazzo della scelta. Comunque non sono loro a comportarsi peggio, il Trono di Spade lo vogliono tutti. Anzi, per come si sono messe le cose all’inizio di questa stagione, meglio sarebbe dire “tutte”: Daenerys, Cersei, Arya sono scatenate.

 

 

In autunno l’università di Harvard proporrà il corso “The Real Game of Thrones: From Modern Myths to Medieval Models”. Corso di Storia, non di spettacolo, né di sceneggiatura, né di istruzioni per scrivere e girare una serie televisiva applauditissima, anche se nessuno al mondo – neppure gli sceneggiatori, probabilmente – sono in grado di raccontarne la trama senza portarsi dietro gli appunti. Lo riferisce Dan Jones – che appunto firma l’articolo sul Times, fierissimo perché George R. R. Martin tiene in libreria un suo saggio sui Plantageneti.

  

Resta il mistero degli storici suoi colleghi, che Mr. Jones vorrebbe risolvere così: nel pasticcio di epoche, ognuno ritrova intrighi e atmosfere familiari. Noi abbiamo un’altra teoria. Diceva Dino Risi: il cinema è una donna nuda e un uomo con la pistola. Levate le pistole, mettete le spade, moltiplicate e ammucchiate le donne nude, ne esce “Game of Thrones”.