Quantico: la seconda stagione in Italia

Non che sentissimo così urgente il bisogno di un dibattito sulle sceneggiature pol. corr. sull'islam

Mariarosa Mancuso

Serie e terrorismo

Il dibattito non era sfuggito. Ma sembrava uno sbandamento causato dall’elezione di Donald Trump. Uno di quei dibattiti da New York Times che con il senno di poi fanno capire perché il miliardario non sia sembrato ai suoi elettori la macchietta che è. E fanno capire perché il New York Times, fatta ammenda con i vecchi lettori dicendo “non abbiamo capito nulla”, ora cerca nuovi lettori, e non sarà facile trovarli (piccolo indizio: gli abbonamenti-esca trimestrali da regalare agli amici e ai conoscenti di chi già paga l’abbonamento erano tre e ora sono cinque).

 



 

“Can Television Be Fair to Muslims?” era il tema, sviscerato da sceneggiatori e showrunner che hanno lavorato a “24” (un reboot – o nuovo inizio – della serie che andrà in onda a febbraio con il titolo “24: Legacy”), a “Quantico”, a “Homeland”, alla serie made in Canada “Little Mosque on the Prairie”, alla futura serie animata “Halal in the Family”. Non che sentissimo il bisogno di un simile dibattito. Il vizio di controllare se i personaggi delle minoranze, siano esse etniche o sessuali, siano trattati in modo “fair” – vale a dire con i guanti, senza offese e senza battute – appartiene alla cultura del piagnisteo già deplorata da Robert Hughes negli anni ’90.

  



 

Sotto le buone intenzioni, cova il risentimento. Oltre alla voglia di imporre ai raccontatori di storie quel che possono e quel che non possono fare. Va a finire che nella parte dei cattivi finiscono impunemente solo i maschi bianchi: tutti gli altri, dalle femmine alle tigri dai denti a sciabola, scatenano proteste e tentativi di censura. Peraltro già applicate ai grandi romanzi che non conoscevano la correttezza politica: nelle università americane ormai i comici non tengono spettacoli e i professori non leggono Shakespeare. Il nuovo mantra recita “lo studente si deve sentire tranquillo e sicuro nella sua confort zone” (è la bolla dell’algoritmo, appena dissimulata).

A rileggerlo dopo che un terrorista con il camion piomba a tutta velocità sui mercatini di Natale – proprio come il maniaco assassino che nel romanzo di Stephen King “Mr Mercedes” piomba con la Mercedes su una folla di disoccupati in fila per un lavoro – il dibattito ha punte di involontaria (quanto tragica) comicità. La stessa involontaria, e altrettanto tragica, comicità dei giornali che pubblicano le fotografie dell’ambasciatore russo freddato nella galleria d’arte in posa da “installazione”. Prima i ragazzini di Cattelan impiccati all’albero, ora un signore corpulento steso a terra con fori di proiettile nel petto (senza lavorar troppo di fantasia: c’era una scena simile, con le majorette, nel film “Animali notturni” di Tom Ford).

 



 

Joshua Safran – l’inventore di “Quantico”: terrorista infiltrato in un gruppo multiculturale di reclute dell’Fbi, fa saltare in aria la Gran Central Station – riferisce che il giorno dopo l’elezione di Trump lui e i suoi sceneggiatori hanno pianto. E giurato “mai e poi mai in un mio copione metterò un musulmano terrorista”. Cherien Dabis, la regista che sta adattando per la tv il suo film “Amreeka”, sostiene che i produttori e i canali tv impongono personaggi musulmani legati al terrorismo (lei rifiuta con sdegno, perfino di raccontare musulmani ingiustamente accusati di terrorismo: non un’ombra deve guastare il buon nome della sua gente). Il dibattito si era aperto con la domanda: “Un artista deve raccontare la realtà oppure fare propaganda per la propria causa?”. La risposta è militante: la tv deve dar spazio solo a musulmani di specchiata bontà.

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