La copertina della serie tv

Tatuato sul corpo

Mariarosa Mancuso
La perdita di memoria attrae e spaventa, ma non sempre convince. Ecco tutti i precedenti

Scritto sul corpo” era un romanzo di Jeanette Winterson uscito nel 1992. Inutile leggerlo cercando di scoprire se il narratore – si racconta un amour fou – fosse maschio o femmina. Dalla prima parola all’ultima, erano state cancellate le tracce del genere grammaticale (l’inglese lo consente con meno fatica dell’italiano, che tradisce per via degli aggettivi). Aiutavano i contorni: a Jeannette Winterson piacciono le donne. E anche i conigli: uno che si avventurò nel suo orto ingolosito dal prezzemolo finì in pentola (provocando un brivido di orrore su Twitter). Fu adottata da una signora che poi si pentì di non aver preso il bambino della culla accanto (e volentieri glielo rinfacciava). Un’ultima perfidia fornì il titolo per l’autobiografia “Perché vuoi essere felice quando puoi essere normale?”.

 

Tatuato sul corpo potrebbe essere in titolo alternativo per “Blindspot” (sta per “punto cieco”). Va in onda su Italia 1 dal 10 maggio scorso, direttamente in chiaro senza passare dai canali a pagamento, annunciata da un flash mob che ha replicato a Milano la scena inaugurale. Un borsone dimenticato a Times Square, gli artificieri stanno per entrare in azione, la cerniera si apre dall’interno, sbuca una bella ragazza nuda ricoperta di tatuaggi. L’unico immediatamente comprensibile è il nome di un agente dell’Fbi, subito convocato (ha la faccia sorpresa quanto lo spettatore).

 


Il trailer della serie tv Blindspot


 

La ragazza viene battezzata Jane Doe. John Doe (come nel film di Frank Capra “arriva John Doe”, 1941) è un nome generico – da noi sarebbe Tizio – regalato agli smemorati. “Amnesia permanente” spiega il dottore. Derivata da un cocktail di sostanze chimiche, mica una botta in testa. Spinta al punto che Jane non riesce a dire cosa le piace, quando le chiedono “pizza o sushi?”. Per alloggio, uno spoglio appartamento usato nei programmi di protezione testimoni.

 

La perdita della memoria attrae e spaventa, nella serie ideata da Greg Berlanti e Martin Gero (in America ha avuto 15 milioni di spettatori, e in corso d’opera è stata allungata da 14 a 23 episodi). Non sempre in maniera convincente. “Siamo definiti dalle nostre scelte. E lei non ricorda le sue”, spiega l’agente dell’Fbi Kurt Weller (prima c’è stato un interrogatorio a base di “non so”, seguito da una scena allo specchio assai telefonata, manca solo la scritta “Chi sono io?”). Intanto però guarda la ragazza senza passato con occhi troppo curiosi, per essere solo pietà umana.

 

Gli smemorati affascinano, basterebbe ricordare “Memento” di Christopher Nolan: dopo un pestaggio il protagonista perde la memoria a breve termine – per dire: esce di casa, svolta l’angolo, e non sa più tornarci. Si aiuta con polaroid (era il 2000), post-it, bigliettini, e le cose davvero importanti le scrive sul corpo. In “Blindspot” lo spettatore ha l’impressione che i black out vadano e vengono, a seconda dei colpi di scena necessari per stupire. Jane Doe – l’attrice Jaimie Alexander – non ha nessun problema di linguaggio, neppure con il cinese che scopre di parlare benissimo già nel primo episodio. Nelle situazioni difficili recupera la sua conoscenza delle arti marziali e una mira spettacolare. Proprio mentre gli agenti dell’Fbi stanno per sventare un attentato tra Chinatown e la Statua della Libertà.

 

Tatuaggio dopo tatuaggio, gli episodi rimettono insieme i tasselli del puzzle. Mentre la ragazza scoprirà finalmente se il cibo cinese le piace oppure no, e smetterà di essere una mappa da decifrare. Dal collo alle caviglie, senza un centimetro di pelle scoperto, ce n’è abbastanza per anche per una seconda stagione.

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